A parte le virgole messe a caso, gli errori di grammatica, policy al plurale dovrebbe diventare policies, e un orrido neologismo come sharare, dall’inglese “to share”, in italiano “condividere”, capiterà a tutti almeno una volta al giorno di imbattersi in questa spaventosa neolingua dell’upgrading, dettata cioè dal contemporaneo “vorrei ma non posso”, indice di pretenziosità neoaspirazionale che nemmeno un genio del pastiche come Carlo Emilio Gadda avrebbe saputo inventarsi. La battuta definitiva, a questo riguardo, spetta a uno storico della musica come Paolo Isotta, prìncipe degli idiosincratici: «Ogni qual volta, in Italia, una cosa viene chiamata in inglese, io vedo la mano del cretino».
L’IDEA
Per una volta, cerchiamo però di essere positivi e propositivi, non solo spiritosi. Per arginare la suddetta neolingua che ormai imperversa non solo grazie agli addetti alla comunicazione, ma ai responsabili di aziende importanti e persino nelle alte sfere dei ministeri, in attesa di un prontuario da mettere in circolazione come quelli per i redattori delle case editrici, potremmo avanzare la modesta proposta di multarne l’abuso nei testi scritti, siano essi emanazione di burocrati di stato, o il florilegio spontaneo dei responsabili della gestione aziendale.
I VERIFICATORI
Sarà difficile, però, trovare gli agenti di controllo, i verificatori, direte voi. Non ne sarei così sicura. In Italia i ministeri, gli uffici pubblici, le stesse imprese abbondano di personale mortificato dalla promiscuità della lingua madre, dall’uso sconsiderato e dialettale di anglicismi inutili, che servo solo come bollino, anzi patacca, di distinzione per chi la distinzione non sa nemmeno dove sia di casa. C’è un numero inverosimile di martiri di questa neolingua tribale, pronti a sacrificarsi, a offrire testimonianza, correggendo, emendando, arginando l’ostentato abuso dalle mire egemoniche.
GLI SFORZI
Ogni giorno combattono la loro battaglia in silenzio, riscrivendo messaggi, prosciugandole la prolissità della sintassi, falcidiando zeugmi e anacoluti, per ricomporre frasi snelle, incisive, eleganti. Sarebbero dunque felicissimi di intervenire, a titolo volontario, nella nuova campagna in difesa della lingua di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, per citare gli autori sublimi, come fa il nostro ambasciatore a Tel Aviv, Francesco Talò, da anni impegnato in prima linea sul delicato fronte, con tanti illustri suoi colleghi del ministero degli Esteri che finanzia nel mondo i programmi anno di ben 83 istituti di cultura, per promuovere la lingua e la cultura e la lingua italiana. Intendiamoci, nessuno vuole il ritorno all’autarchia o la difesa dell’idioletto come in epoca fascista.
VERBI E GENERI
No, miei cari. Il vero cosmopolita è un altro. E’ l’italiano che parla un bell’italiano corretto, sicuro dei modi verbali, di preposizioni, accenti e generi (in grado di articolare il sostantivo femminile rémora, anziché inventarsi un non meglio identificato remore maschile, forse per la sola assonanza col femore), e dunque in grado di riscrivere in inglese tutto quello che ha già scritto e pensato in italiano. Dunque, non facciamoci illusioni. Serve ancora uno sforzo e dev’essere uno sforzo comune. Le lingue non ammettono scorciatoie.
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