La ricerca del posto: così il 6% dei laureati trova lavoro all’estero

La ricerca del posto: così il 6% dei laureati trova lavoro all’estero
di Luca Cifoni
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Venerdì 15 Settembre 2017, 00:27 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 15:22

Non sono solo cervelli, in senso stretto: tra i giovani italiani che per scommessa o per necessità decidono di cercare fortuna all’estero si trovano rappresentati tutti i livelli di istruzione. Certamente però una lente utile per guardare al fenomeno dello spreco di talento italiano è quella dei laureati, considerato che chi ha concluso il proprio percorso universitario e lascia il Paese in via più o meno definitiva si porta dietro le risorse investite su di lui dallo Stato italiano per un ventennio o anche più, dalla scuola materna in poi. Sul lavoro all’estero dei laureati negli atenei italiani è possibile farsi un’idea piuttosto precisa grazie a due distinte indagini realizzate dal Consorzio interuniversitario Almalaurea e dall’Istat: Ogni anno viene chiesto a decine di migliaia di giovani di raccontare cosa è successo dal punto di vista professionale dopo il conseguimento del pezzo di carta: se hanno trovato lavoro, in che settore, quanto guadagnano e così via. Obiettivo è naturalmente misurare la resa lavorativa ed economica dell’investimento fatto nel titolo di studio.

L’INCIDENZA
Il fatto che la sede di lavoro si trovi all’estero non vuol dire automaticamente che l’interessato si sia trasferito per sempre (ci possono essere anche casi di pendolarismo) ma è un indicatore sufficientemente approssimato. Dall’ultima indagine Almalaurea, quella relativa al 2016, risulta che il 75 per cento dei laureati in Italia lavora a cinque anni dal conseguimento del titolo (un valore analogo a quello rilevato dall’Istat in un lasso di tempo leggermente più corto, quattro anni). Quelli che poi svolgono la propria attività all’estero sono complessivamente il 5,7 per cento, con un’incidenza maggiore (6,5%) nel caso di laurea magistrale; di nuovo, i dati Istat disegnano uno scenario del tutto simile). In Italia negli ultimi tempi si laureano circa 300 mila persone per anno solare: applicando queste percentuali, vuol dire che sui 225 mila che lavorano gli “espatriati” di una sola annata sono poco meno di 13 mila. Numero non molto inferiore a quello dei laureati con sede nelle isole, Sicilia e Sardegna, che rappresentano il 6,7 per cento del totale; la maggioranza relativa, il 25,9 per cento, si trova nel Nord-Ovest. Può essere interessante notare che spesso il trasferimento all’estero avviene abbastanza presto: la percentuale di coloro che lavorano fuori è già del 4,6 dopo un anno dalla laurea (quando solo il 43 per cento ha un’occupazione) e del 5 per cento dopo 3 (su un 67 per cento di occupati).

I MEDICI
Naturalmente la scelta di espatriare non riguarda in modo uniforme i giovani che provengono da facoltà diverse. Così ad esempio la percentuale è ben più alta, sopra il 17 per cento, per quelli laureati in una facoltà del gruppo scientifico (che comprende Matematica, Fisica e Informatica), è del 12,1 per le lauree di tipo linguistico, dell’8,6 per gli ingegneri, del 7,2 per il gruppo geo-biologico e per quello di architettura. Molto più bassa l’incidenza nel caso dei corsi di laurea giuridici (2,4%) e di quelli finalizzati all’insegnamento (appena lo 0,8). In mezzo, con valori vicini a quello medio complessivo si collocano le lauree economiche statistiche (5%) e forse un po’ a sorpresa quelle del gruppo letterario (5,5). La percentuale risulta bassa per le lauree mediche (2 per cento) ma questo valore è probabilmente condizionato dal fatto che dopo la laurea il percorso prevede la specializzazione. In realtà da varie rilevazioni emerge che la presenza di medici italiani all’estero è in crescita negli ultimi anni.
 

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