Sciascia-Laterza, lettere dalla Storia

Sciascia-Laterza, lettere dalla Storia
di Matteo Collura
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Giovedì 27 Ottobre 2016, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 13:13

Non sappiamo quanti lettori possa avere il libro appena pubblicato da Laterza, contenente le lettere che il suddetto editore e Leonardo Sciascia si scambiarono nel corso di un trentennio (L’invenzione di Regalpetra – Carteggio 1955 – 1988). Conoscendo l’andazzo non ci sbilanciamo, limitandoci – per quel che può servire – a raccomandarlo soprattutto ai giovani, i quali potrebbero farsi un’idea non soltanto del mondo editoriale di cinquanta o sessant’anni fa, ma dell’Italia di allora, intendendo soprattutto il Paese uscito stremato dalla seconda guerra mondiale e tuttavia sospinto verso un avvenire che prometteva tutto; tutto essendo aperto, a portata di mano, realizzabile.

I DUE MERIDIONALI
Sciascia e Vito Laterza sono i fantasmi di un passato davvero passato, in cui ci si metteva del tempo a tramutare il lei in tu, in cui uno scrittore costruiva un suo libro assieme all’editore, ascoltandone i consigli e apprezzandone il marchio non in base alle capacità dell’ufficio marketing, ma per quello che rappresentava culturalmente. Se poi l’editore, come nel caso di Laterza, era meridionale (pugliese) come lo scrittore Sciascia (siciliano), speranze e propositi si dilatavano, divenendo l’emblema di un lavoro intellettuale che tendeva al riscatto, al superamento dello svantaggio che la storia assegnava a due regioni un tempo accomunate sotto il genio di Federico II di Svevia.
Oggi è impossibile che venga alla luce un libro come Le parrocchie di Regalpetra, perché concepito – dall’autore e dall’editore – in un’epoca in cui la letteratura, ancorché elitaria, tutt’altro che fenomeno di massa, era documento con cui giudicare il presente e costruire il futuro. Annota Tullio De Mauro nell’introduzione: «È difficile restituire oggi ciò che la casa editrice significò per chi, giovane, si affacciava alla vita intellettuale, per gli Scotellaro, i Giovanni Russo, i Nello Ajello, i redattori di “Nord e Sud” che nasceva in quegli anni a Napoli. Non più solo la casa editrice per i professori di latino e greco, di storia e filosofia, ma la casa editrice che imparava a parlare e far parlare di malgoverno, di cinema, di urbanistica, di sindacati, di monopoli, di giustizia, di scuola come organo costituzionale, ma anche nel concreto della vita di scolari e maestrine sconosciute. E si capisce che, salendo da Racalmuto a Bari per incontrare Tommaso e Vittore Fiore, un non più giovanissimo maestro di scuola andasse in via Dante 51, nella sede dell’editrice,“come un pellegrino a un luogo di pellegrinaggio”».

LE PARROCCHIE
Insomma, era quello il posto ideale cui piazzare Le parrocchie di Regalpetra. «Sono molto lieto di averLa conosciuta, e gratissimo Le sono della proposta cordiale di preparare un libro per le Sue edizioni», scriveva Sciascia nel marzo 1955 a Laterza. «Ho pensato molto al lavoro da fare, e posso senz’altro assicurarLe che tra tre o quattro mesi sottoporrò al Suo giudizio il manoscritto. Penso non supererà le 150 pagine: avrà una “introduzione”, un tentativo di raccontare il paese nella sua vita di ogni giorno; e poi tre cronache relative al consiglio comunale, alle saline e alle scuole».
L’idea di scrivere una cronaca della sua esperienza di maestro a Sciascia era venuta sul finire dell’anno scolastico 1953-’54. Letta da Calvino, la “cronaca” fu pubblicata su “Nuovi Argomenti” nell’inverno del 1955. Vito Laterza la lesse e subito propose all’autore di costruire tutto un libro sulla vita di un paese siciliano. Ecco l’editore in azione il primo aprile 1955: «Aspettavo notizie con una certa trepidazione, augurandomi vivamente che la bellezza e l’interesse delle Sue cronache scolastiche La convincessero della bontà della via imboccata e delle straordinarie prospettive di conoscenza ch’essa dischiude. Mi creda che già conto sul Suo libro come uno dei migliori acquisti della nostra casa».

IL TITOLO MALEDETTO
Grande intuito, quello di Vito Laterza, il quale riuscì persino a trovare un titolo degno per quel memorabile libro d’esordio. «Questa del titolo è una faccenda maledetta», scriveva Sciascia, proponendone all’editore di continuo (“Un paese in Sicilia”, “Parroci salinari e galantuomini”, “Cronache di vita siciliana”, “R come Regalpetra”), e finendo per arrendersi: «Evidentemente più ci penso peggio è». Finalmente l’editore sceglie: “Le parrocchie di Regalpetra”. Sciascia ne è entusiasta: «Caro Dottor Laterza, ottimo titolo e ottima spiegazione. Le sono, anche di questo, molto grato». 
Che tempi, quelli. Viene in mente il titolo di uno dei primi libri di Umberto Eco, Opera aperta, trovato dal nulla da Valentino Bompiani, il quale, all’autore che gli spiegava come nel testo non vi fosse giustificazione per quell’intitolazione, replicava: «Allora scriva una prefazione che la giustifichi». Chiudendo, nell’accennare al valore del libro è il caso di ricordare che nel febbraio scorso, occupandomi per questo stesso giornale delle “Parrocchie” nel loro sessantesimo anniversario, scrivevo che esse rappresentano «la carta d’identità dell’autore, un esordio che indica la sua inconfondibile cifra stilistica, la sua idea di letteratura». Non saprei come meglio dire adesso.
 
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