Parla il filosofo Michel Onfray: «Una civiltà stanca, per l’Occidente la fine della storia»

Parla il filosofo Michel Onfray: «Una civiltà stanca, per l’Occidente la fine della storia»
di Francesca Pierantozzi
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Sabato 14 Gennaio 2017, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 13:30
Michel Onfray può appassionare, far arrabbiare, indispettire, di sicuro riesce a far leggere d’un fiato volumi ricchi di citazioni teologiche, filosofiche, letterarie. Accade anche con Décadence (edizioni Flammarion) secondo tomo della trilogia “Breve Storia del Mondo”, da pochi giorni in libreria, in cui il filosofo francese, creatore dell’Università popolare di Caen e autore di oltre cinquanta opere, racconta la vita e soprattutto annuncia la prossima morte dell’Occidente.

Quali sono i segni della malattia che sta uccidendo la nostra civiltà?
«Altro che segni, ci sono tutti i sintomi di una patologia grave! I primi segni risalgono al… 1417, quando uno dei vostri grandi uomini, Poggio Bracciolini, scopre il manoscritto del De rerum natura di Lucrezio in un monastero tedesco. Innesca una bomba a scoppio ritardato e offre un’arma di distruzione di massa all’occidente cristiano, con una filosofia materialista che riduce l’esistente a una combinazione di atomi nel vuoto e ripone al magazzino degli attrezzi il Dio giudeo-cristiano antropomorfo, geloso, vendicatore, punitivo e onnipotente. Col Rinascimento cade il primo pezzo del domino. Montaigne, Cartesio, gli Illuministi, Nietzsche che annuncia la morte di Dio, ma anche Marx e Freud provocano la successiva serie di crolli. Il pensiero ha trovato occasioni d’incarnarsi con la rivoluzione del 1793, le rivoluzioni marxiste-leniniste del 1917. Mi pare dunque chiaro che i primi sintomi sono lontani e non siamo più alla crisi d’influenza, ma prossimi al decesso».

E se parlassimo di liberazione, invece che di decadenza: la nostra storia non è stata abbastanza tragica da essere contenti che abbia fine?
«Dal 1989, data del mio primo libro, iscrivo il mio lavoro in una prospettiva nietzschiana – e d’altra parte tutti i miei libri si aprono con una citazione di Nietzsche… Sottoscrivo l’idea di una genealogia al di là del bene e del male. Si deve capire da dove viene il reale evitando di darne una definizione morale. Di fronte al terrorismo, la questione che deve porsi a me filosofo è: cosa lo ha reso possibile? E non: che brutta cosa il terrorismo. Per questo lascio la parola ai giornalisti e ai preti. La decadenza non è un concetto etico, ma clinico. La liberazione, che esprime un sollievo, una positività, non è un concetto clinico, ma etico. “Né ridere né piangere ma capire”, diceva Spinoza…»

Lei cita lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington. Quali sono le civiltà in guerra oggi, quali le battaglie, e il contenuto dello scontro?
«Civiltà è il nome che si dà a cristallizzazioni storiche di una spiritualità che, cristallizzandosi, diventa una religione. Una civiltà è viva e la vita – riprendo la definizione di Bichat – è “l’insieme delle forze che resistono alla morte”. La civiltà giudeo-cristiana, l’Occidente, si oppone all’Islam conquistatore da quando esiste. Basta ricordare la rapidità delle conquiste dell’Islam politico nel secolo che segue la morte del Profeta, le crociate, gli arabi fermati a Poitiers, il califfato di Nimes, la Spagna islamica, la battaglia di Lepanto, le risposte coloniali dell’Occidente nel XIX secolo e, più di recente, l’11 settembre, la dichiarazione di guerra all’Occidente di Bin Laden fino ad arrivare ai giorni nostri e al Califfato dell’Isis. Per il momento, l’uso sfrenato di tecnologia militare contro l’Isis non riesce ad arrestare il terrorismo, che è l’avanguardia di questo Islam conquistatore».

La nostra civiltà occidentale è “stanca”. Non auspica una forma di resistenza?
«Io non sono né ottimista né pessimista, ma tragico. L’ottimista vede il meglio dovunque, crede nel progresso infinito. Il pessimista vede dovunque il peggio, crede che domani sarà peggio di oggi. Il tragico cerca di vedere il reale com’è: il reale sarà quello che il passato e il presente (e non l’ideologia o la morale moralizzatrice) consentono di prevedere. Resistere è credere di poter cambiare il corso delle cose: si può sempre resistere a una malattia in fase terminale, ci ucciderà comunque».

Anche la democrazia è in fase terminale?
«La democrazia è morta, se mai è esistita! In Francia le istanze rappresentative non rappresentano il popolo, visto che la sociologia del paese non è assolutamente rispecchiata nella sociologia dell’Assemblea nazionale e del Senato. Senza contare che la configurazione dello Stato di Maastricht nel quale viviamo è un liberalismo imposto dallo Stato che detta legge e disprezza l’opinione dei cittadini espressa nei referendum…»

Lei dice: contro il terrorismo la nostra bomba atomica non può niente. Questa nostra fragilità non è anche la nostra forza? In questo conflitto siamo sicuri che vince chi uccide?
«Vince chi riesce a imporre il proprio calendario e nessuno può negare che non è, o non è più, l’Occidente a imporre il suo. Sono i terroristi che dettano e che costringono il Presidente, il governo, la polizia, l’esercito, i servizi segreti ad arrivare a cose fatte e ad accontentarsi del Verbo: discorsi marziali, intimidazioni, promesse di raid di ritorsione a migliaia di chilometri su popolazioni civili musulmane, invito a scendere per le strade e ad accendere candele… Chi è forte? Chi è debole? Giudicate voi…»

Non salva niente della nostra civiltà?
«Salvo il fatto di aver prodotto quello che oggi crolla: la cultura, la diplomazia, l’arte, la letteratura, la filosofia, la cortesia, la ragione, il pensiero, i Lumi, lo spirito di Montaigne, l’architettura, la musica, la civiltà. In poche parole: salvo il suo passato…»

L’ultimo tomo della sua trilogia s’intitolerà “Sagesse”, saggezza. Una possibilità in fondo al tunnel?
«Piuttosto delle istruzioni per l’uso per vivere in un mondo che crolla…»

Oltre all’Università popolare e ai libri, lei ha un sito dove tanta gente le fa domande sugli argomenti più diversi. Personalmente, non sente intorno a sé una comunità viva, desiderosa di parlare, capire, dialogare?
«Sì, c’è una buona salute popolare, ma è inversamente proporzionale alla patologia delle élite. Bisogna rendere omaggio al popolo che riesce a conservare la ragione nonostante sia “formattato” 24 ore su 24 dai media all’obbedienza al discorso dominante neo-liberale, quello del Vello d’Oro consumista imbottito di stupidità e volgarità, d’incultura trionfante e rivendicato cinismo…»
 
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