«Montalbano per me resta un enigma», Andrea Camilleri racconta il successo del suo commissario

«Montalbano per me resta un enigma», Andrea Camilleri racconta il successo del suo commissario
di Valentina Venturi
4 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Aprile 2017, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 13:10
Camilleri è sempre Camilleri. Anche a 90 anni. Le sigarette fumate in continuazione, la voce rauca ma avvolgente, la libreria dove ama farsi intervistare (la stessa delle presentazioni televisive di Montalbano), la capacità impareggiabile di raccontare rendendo semplice anche l’argomento più astruso. È un piacere leggerlo, è un piacere ascoltarlo.

Il dubbio: l’avrebbe mai immaginato?
«Ma mi faccia il piacere! Credevo di nascere come scrittore di nicchia, che con 1000 copie ero felice. Vado in giro per casa battendomi il petto e ripetendo: “Domine non sum dignus”. Il primo a sorprendermi sinceramente sono io».

Si è dato una spiegazione?
«Nessuna, per me rimane un enigma».

Quando e come è nata l’idea dei polizieschi?
«Per castigarmi. Avevo pubblicato dei romanzi che vendevano 5/6 mila copie. Poi un giorno mi viene in mente di scrivere del commissario Montalbano, per educarmi. Sono uno scrittore anarchico, posso cominciare un romanzo dall’ultimo capitolo, oppure dall’ottavo. Vai a sapé… Allora mi sono detto: “Andrea, sai scrivere un libro dalla A alla Z?”».

Ne avrà abbastanza di Montalbano. Si vocifera che lo odi…
«Come nei rapporti amorosi, è amore e odio. Montalbano mi ricatta: non solo mi ha mantenuto in catalogo i romanzi scritti 30 anni fa, ma addirittura continua a farmeli vendere. Come si fa a stufarsi, quando è ‘sta specie di apripista mostruoso?».

I suoi lettori attendono una risposta: Montalbano muore?
«Non morirà, però non ci sarà più possibilità di andare avanti. Quasi per vendetta gli dico: “Statti buono, o faccio pubblicare l’ultimo romanzo!”. Ho vari motivi per odiarlo, come il fatto che lui mangia benissimo, mentre io non posso più, soprattutto le fritture di pesce».

Da dove nascono le idee?
«Anni fa è venuto a trovarmi il figlio di Georges Simenon e ha detto: come mio padre, anche lei ripete non ho fantasia. Ma detto da voi due sembra assurdo. Invece è vero. Ho avuto una memoria favolosa per i fatti di cronaca. Parto da qualcosa di realmente accaduto e lo modifico molto, questo sì. Forse quattro romanzi sono inventati dal nulla, non di più».

Maigret fonte di ispirazione?
«Da produttore televisivo per la Rai, ho seguito Diego Fabbri che sceneggiava Maigret di Gino Cervi. Fabbri era un orologiaio che smontava il meccanismo e lo rimontava per riadattarlo ad una cassa nuova. Il procedimento mi è rimasto dentro. Scrivevo “La forma dell’acqua” e sapevo a priori che il mio commissario sarebbe stato un buon borghese, come Maigret. “Madonna!” pensavo “come posso differenziarmi da subito da Maigret?”. Lui è sposato? E Montalbano ha Livia, che vive lontano e con cui discute. Maigret veste di nero? Montalbano vestirà di bianco».

Allora sono simili le indagini.
«Nient’affatto, il metodo è opposto. Maigret si mette dalla parte del morto; il mio studia prima il contesto».

Il suo è un siciliano molto particolare...
«È deformato da come parlavamo noi della piccola borghesia. Ho voluto ideare una lingua mia, anche se i siciliani doc si incazzano e dicono: “Questa parola non c’è”. E ti credo, me la sono inventata, mica la trovi nel dizionario. Il mio dialetto nasce da mia madre».

Le dava consigli?
«A 17 anni, da figlio unico viziato, la sera ritardavo. E mamma ripeteva: “Cerca di non fare tardi la notte”. E io niente. Un giorno mi fa questo discorso: “Senti Nene, cerca ti tornare chiù presto che puoi figghiu miu, che se non sento a porta ca si chiusi e viene a dire ca si turnari, non riesco a pigghiare sonno, perciò fallo pe’ mia. E se questa storia dura ancora io non ti do più una lira e voglio vedere che fai per strada alle due di notte senza un soldo”. Il discorso era diviso in due: un’istanza d’affetto in dialetto e una notificazione giudiziaria in lingua italiana. Come diceva Pirandello: “Di una data cosa la lingua ne esprime il concetto, della medesima cosa il dialetto ne esprime il sentimento”».

Cambiando argomento, come vede la politica italiana?
«Sento puzza di cadavere come la sento per me, perciò posso parlarne. Renzi, il Movimento 5 Stelle sono morti, morti che camminano al di fuori del tempo e della storia. Non si rendono conto che il mondo ha subito un rovesciamento. Grillo l’ha solo intuito».

Una trasformazione epocale.
«La tecnologia ha cambiato il rapporto tra gli uomini e con il lavoro. E loro non se ne rendono conto. Perdiamo tempo a discutere se quello alza la barriera… Ma le barriere si infrangono come niente. Arriveranno ancora milioni di persone: è come il passaggio del Mar Rosso di Mosè, biblico».

Cosa augura ai giovani?
«Che riprendano in mano il loro destino e lascino che i morti seppelliscano i morti. Credo che un giorno o l’altro si stuferanno, non potranno emigrare tutti. Per noi è una perdita altissima, più di qualsiasi Pil. Duecento, trecento giovani che se ne vanno dall’Italia è sangue fresco, vivo che va a rinforzare l’estero e non noi. Vedo una cecità che mi fa spavento, più della mia stessa cecità».

 
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