Ricchi e poveri: la poesia dell’Italia che non c’è più nel film “La guerra dei cafoni”

Ricchi e poveri: la poesia dell’Italia che non c’è più nel film “La guerra dei cafoni”
di Gloria Satta
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Sabato 22 Aprile 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 09:08
Nel cinema italiano consegnato alle commedie-fotocopia e monopolizzato dai soliti noti, un piccolo gioiello fuori dagli schemi si prepara ad incontrare il pubblico: “La guerra dei cafoni”. Ispirato al romanzo omonimo di Carlo D’Amicis (Minimum Fax), diretto a quattro mani da Davide Barletti e Lorenzo Conte, interpretato da 24 non-attori minorenni, il film è tra i titoli forti del BiFest di Bari, in programma da oggi, e uscirà in sala il 27 aprile. Dopo aver raccolto applausi ai festival di mezzo mondo, a cominciare dalla Festa di Roma.

Lotta di classe tra ricchi e poveri, storia di adolescenza e di amicizia, ritratto poetico e al tempo stesso brutale di un’Italia rurale che non c’è più, romanzo di formazione calato nel sole accecante dell’estate, la stagione che prelude ad ogni cambiamento: “La guerra dei cafoni”, ambientato nella Puglia di quarant’anni fa, racconta lo scontro secolare tra i figli dei ricchi, i signori, e i figli della terra, cioè i cafoni, due fazioni che si combattono fin dalla culla.
Schieramenti “militari”, orgoglio di classe, scontri, passioni e odii, riconciliazioni e tragedie fanno da sfondo alla storia raccontata con la leggerezza della commedia mentre i paesaggi fiabeschi del Salento (campagne selvagge, mari turchesi, spiagge bianche, ruderi magici) hanno un ruolo di primo piano, esaltati senza retorica dalla fotografia da Oscar di Duccio Cimatti.
SOPRANNOMI
Ma lo spazio è tutto degli adolescenti che sono stati pazientemente reclutati nell’intera Regione e sullo schermo parlano un mix di italiano e dialetto, sfumato nelle diverse inflessioni. Si chiamano Pasquale Patruno, Donato Paterno, Angelo Pignatelli, Kevin Magrì, Nicolò Grassi. E i loro personaggi, in omaggio alla tradizione meridionale di dare dei soprannomi a tutti, sono Tonino, Culacchio, Tedesco, Muccolone, Scorfano, Telefunken, Cibalgina, Merendina, Elvis, Scaleno, Toshiro Mifune.

Tutti maschi e felicemente appiattiti sugli atavici codici virili, con l’eccezione di due femmine: Mela, nel gruppo dei cafoni (la interpreta Letizia Pia Cartolaro e di lei si innamora con molti sensi di colpa il capo dei signori Francisco Marinho) e la borghese maliziosissima Sabrina (Alice Azzariti) che accende le fantasie erotiche del piccolo, occhialuto cafone Tonino. Gli unici adulti, scritturati per ruoli brevi ma incisivi, sono Claudio Santamaria (recita in greco) e Ernesto Mahieux.

Perché portare sullo schermo “La Guerra dei cafoni”? «Il libro di D’Amicis è una commedia divertente ma anche una potente allegoria del passaggio dell’Italia di ieri, in cui il conflitto sociale era esplicito e regolato da un ordine quasi cavalleresco, all’Italia di oggi dominata dai consumi e dall’ambizione», spiegano Barletti e Conte. «Nello scontro fra bande di ragazzini», aggiungono, «c’è la radicalizzazione del concetto di bene contro male, bianco contro nero».

APERITIVO
Echi di Truffaut, un pizzico di neorealismo, il richiamo alla Nouvelle Vague, qualche momento visionario: il film segna, dopo tanti documentari, il debutto nella produzione di lungometraggi della casa editrice Minimum Fax che ha avuto la collaborazione di La Luna e Amedeo Pagani. La sceneggiatura è firmata dai registi, dall’autore del libro, dalla scrittrice Barbara Alberti (con la collaborazione di Giulio Calvani).

«I protagonisti della storia», spiegano gli autori, «sono in guerra soprattutto contro la finta riconciliazione delle diverse appartenenze e il politicamente corretto tipici dell’Italia che, come loro, è in procinto di diventare adulta». Così, nel paesino immaginario di Terramatta (in realtà la magnifica riserva naturale di Torre Guaceto, a pochi chilometri da Brindisi) nella storica contrapposizione tra signori e cafoni locali si inserisce la borghesia emergente, arrogante, transnazionale: è rappresentata dal Cugginu che sorseggia l’aperitivo, preludio dei grandi mutamenti destinati ad abbattersi su quell’isola felice del nostro Paese, ma non solo.
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