Roma, parla il professore del Tasso: «Non mando sms hot per loro ero un amico»

Roma, parla il professore del Tasso: «Non mando sms hot per loro ero un amico»
di Camilla Mozzetti
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Giovedì 4 Gennaio 2018, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 08:21

«Non ho mai cercato le mie alunne, ho solo risposto ai loro messaggi perché il mio numero lo hanno tutti, lo do a chi me lo chiede». Il suo modo di insegnare, quello di Maurizio Gracceva, docente di Storia e filosofia al liceo classico Torquato Tasso di Roma, accusato di molestie da 4 studentesse e per questo indagato dalla Procura di Roma, esula dal tradizionale rapporto insegnante-alunno. Complice il desidero di instaurare un “maggior dialogo” e convinto dell’utilità di «unire la dimensione scolastica agli studenti» anche attraverso l’abbattimento delle classiche gerarchie – che pur esistono da sempre all’interno della scuola e servono a ricordare i ruoli, i diritti e i doveri che ricadono su tutti i diversi protagonisti – il docente con 32 anni di servizio alle spalle e una richiesta protocollata per andare in pensione nel 2018, non si è mai limitato a spiegare soltanto Hegel o Platone.

Un professore severo ma “compagno” si potrebbe definire o un docente che applicava il metodo socratico e che all’occorrenza sapeva trasformarsi in consigliere per i suoi studenti. Procedura anticonvenzionale. Criticata da alcuni poiché etichettabile come “diseducativa”, praticata da tanti altri professori in moltissime scuole non solo romane. Nello studio del suo legale, il professor Gracceva che per mesi ha mantenuto un rapporto epistolare virtuale con alcune studentesse, dà la sua versione dei fatti. Parla apertamente, si definisce «sereno». 

Professore alcune sue studentesse l’accusano di molestie, di aver inviato messaggi a sfondo sessuale, di averle cercate tradendo il suo ruolo di educatore. Cosa risponde?
«Non ho mai scritto di mia iniziativa alle mie studentesse, ho sempre risposto ai loro messaggi».

E qual era il contenuto di questi messaggi?
«Parlavamo delle materie ma anche dei loro problemi, a volte si confidavano. Tra gli ultimi messaggi che ricordo c’è quello di una delle quattro studentesse, che ora mi accusa, inviatomi dopo una lezione sul Romanticismo tedesco. Mi scriveva: “Professore la sua lezione oggi è stata bellissima”».

E lei come rispose?
«Ringraziandola». 

Si sentì lusingato?
«Se le porgo un complimento lei può decidere di sentirsi lusingata o infastidita».

Era solito scambiare messaggi con i suoi alunni in merito ad argomenti non scolastici?
«Capitava, ma le ripeto non le ho mai cercate per primo. Non ho mai chiesto un numero di telefono, se ho risposto, è sempre stato su chiamata. Nella scuola succede questo: oggi quando uno studente chiede il cellulare al professore, lui spesso lo dà. Si confidavano, discutevamo di filosofia ma anche delle inquietudini proprie dell’adolescenza, alcune di loro erano affascinate, ad esempio, dal rapporto tra Sabina Spielrein e Jung».

Non crede di aver indotto le ragazze a equivocare il suo comportamento? Di averle in sostanza confuse? 
«Non siamo animali perfetti. Queste ragazze ma anche gli altri compagni hanno sempre mostrato affetto e stima nei miei confronti».

E lei non hai mai bloccato le comunicazioni.
«Né mi è stato mai detto di essere inopportuno, sono sereno. Presumo che il livello di confidenzialità sia stato equivocato». 

Ha mai incontrato le sue studentesse al di fuori della scuola?
«Una sola volta».

E per quale motivo?
«Avevo invitato tutta la classe a una conferenza che tenni prima della chiusura dello scorso anno scolastico sui manoscritti economici e filosofici di Marx. All’epoca le ragazze frequentavano il quarto anno e due di quelle che mi accusano oggi vennero, non ci sono mai stati altri episodi».
 

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