Boomerang leghisti, i lumbard contro «Roma ladrona»: sepolti da condanne

Boomerang leghisti, i lumbard contro «Roma ladrona»: sepolti da condanne
di Federico Guiglia
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Mercoledì 26 Luglio 2017, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 27 Luglio, 08:56
ROMA Per anni il grido di battaglia suonava duro e puro, ma soprattutto in rima: «Roma ladrona, la Lega non perdona». Anche la canzone che accompagnava con soavità quel moto dell’animo padano, evocava la questione morale e invocava l’addio alla capitale: «Saluteremo Roma padrona per il male che ci ha fatto, per averci derubato fino all’ultimo denar». E come dimenticare la manifestazione che rappresentò l’apoteosi di quella strategia dalle urla pulite, il lontano 5 dicembre 1999. Con i treni provenienti dal Settentrione simpaticamente ribattezzati “Nerone”. E migliaia di lumbard che si dimenavano in piazza del Popolo al ritmo del «chi non salta- italiano è, è». Sancivano, così, il tutt’uno col grande capo, Umberto Bossi, che nell’odiata capitale chiudeva lo storico comizio della Lega Nord. 

L’EPILOGO
Quasi vent’anni dopo, nessun Nerone pare aver bruciato la capitale d’Italia. L’unico a rimanere scottato dal fuoco è stato proprio l’acclamato leader: due anni e tre mesi di fresca condanna in primo grado a Milano, imputato, con altri, di appropriazione indebita per aver utilizzato, secondo l’accusa, fondi del Carroccio per fini personali. “The family” è il nome con cui è stata chiamata l’inchiesta della magistratura. Ora per Bossi s’è aggiunta una nuova condanna a due anni e sei mesi in primo grado a Genova, con altri imputati, per truffa ai danni dello Stato. Più l’ordine di confisca di quasi 49 milioni di euro alla Lega. In sostanza, tra il 2008 e il 2010 sarebbero stati presentati rendiconti irregolari in Parlamento per ottenere fondi pubblici che, secondo l’accusa, sarebbero stati in buona parte usati per spese non giustificate o per fini estranei al movimento. 
Molta acqua è passata sotto il Tevere e la Lega di Matteo Salvini non immagina più metaforici incendi per l’Urbe. Con un paio di millenni di ritardo l’attuale classe dirigente leghista sembra aver scoperto perché tutte le strade del mondo ancora oggi portino a Roma.

Ma che fine hanno fatto quelli dell’era pimpante e insolente del «Roma ladrona»? Quelli dell’anatema facile, tipo il corpulento Erminio Boso, detto Obelix? Oppure dell’autobiografico «sono un pirla», come l’ex segretario amministrativo Alessandro Patelli disse di sé dopo aver ricevuto una tangente da duecento milioni di lire nell’epoca di Tangentopoli? Tutta o quasi la classe dirigente bossiana cresciuta «contro Roma» è ormai fuori dal Palazzo. Alcuni ex anche scottati da guai giudiziari. E’ successo a Pier Gianni Prosperini, leghista della prima ora poi passato ad An e diventato assessore regionale in Lombardia (giunta-Formigoni). Nel corso dell’attività politica ha patteggiato, nel 2010, tre anni e cinque mesi per l’accusa di un presunto giro di mazzette che l’aveva anche portato in carcere (e indotto a tentare il suicidio). Più altre vicende giudiziarie per il politico dell’originaria “Lega Lombarda” prima di svoltare a destra. 
Anche Luca Leoni Orsenigo era un leghista della prima ora. E’ passato alle cronache per il cappio sventolato alla Camera contro i politici corrotti («rifarei tutto», ha detto di recente l’ex deputato). Ma non fa più parte dell’allegra brigata: s’è ritirato dalla politica. 

I PERSONAGGI
E Francesco Speroni da Busto Arsizio, il tecnico di volo diventato ministro nel primo governo Berlusconi, che non gliene passava una al «centralismo romano»? Pure lui è fuori dai radar: pensionato con un vitalizio di tutto riposo. 
Di quella covata di accalorati pionieri contro Roma faceva parte il veneziano Franco Rocchetta. Un indipendentista che finì sottosegretario - pensate un po’- alla Farnesina, dove si decide la politica dell’Italia nel mondo. «Tornar paròni a casa nostra», scriveva da giovane sui muri il precoce ideologo, che finirà pure indagato per attività secessionista. Con Bossi tante convergenze parallele, fino all’espulsione dalla Lega di questo leader della Liga (Veneta, la più antica delle leghe e delle beghe). Ora Rocchetta sogna la sua Serenissima da Conegliano, dove vive. E dove non lontano risiede un altro antesignano, Giancarlo Gentilini, già sindaco di Treviso, detto “lo sceriffo” per i proclami di tolleranza zero, e famoso per le invettive. Ma Gentilini è quasi l’opposto di Rocchetta: è un leghista col Tricolore. 

Di quella folta pattuglia contro «Roma ladrona» in piena e fervente attività è rimasto l’europarlamentare Mario Borghezio. Nel frattempo pure lui ha conosciuto controversie giudiziarie (e subìto aggressioni fisiche) per le sue discusse posizioni sull’immigrazione. Tuttavia, neanche il focoso Borghezio ha più evocato Nerone, né ripetuto che «la Lega non perdona», motto del Bossi allora in ascesa, oggi condannato. 
E così «il pirla» Patelli adesso si dedica con impegno ai profughi e s’è appena laureato, a sessantasette anni, con una tesi su Bossi. E l’ex senatore Boso-Obelix si limita a tuonare dal suo Trentino, in cui s’è ormai arroccato: «La Meloni ha infiltrato i fascisti nel Carroccio». Ma su «Roma ladrona» è calato il silenzio. E il sipario. 
 
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