Berlusconi, le mille vite: l'uomo del «nuovo sogno italiano» protagonista di politica, economia, tv e sport

Dalle ceneri dell’antipolitica ha creato Forza Italia

Berlusconi, le mille vite: l'uomo del «nuovo sogno italiano» protagonista di politica, economia, tv e sport
di Francesco Malfetano
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Martedì 13 Giugno 2023, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 09:47

«Ho avuto una vita che ne contiene quattro». Alla fine a 86 anni gli ha ceduto il cuore, quello su cui chi lo conosceva bene sapeva di poter contare. Uomo deciso, ma anche molto generoso e che, soprattutto, voleva piacere. Delle tante vite di Silvio Berlusconi si è scritto e raccontato di tutto. Costruttore edile, uomo delle tv, presidente di uno dei club calcistici più decorati nella storia del pallone e, infine, leader di un partito con il quale, per quattro volte, ha vinto le elezioni. Uomo discusso in tutte le stagioni della sua intensa esistenza ma quella a cui più teneva è la discesa in campo. Lo fece nel ‘94, ma preparò il suo avvento molto prima sulle macerie di una prima Repubblica nella quale aveva costruito le sue iniziali fortune e che ha fatto di tutto per tenere in vita assoldando scampoli di democristiani, socialisti e numerosi comunisti che quando «convertiva» gli davano particolare soddisfazione.

L’ESORDIO
Nel ‘94 il discorso dal suo studio e l’esordio di un uomo, Roberto Gasparotti, che per vent’anni ha filmato e registrato ogni suo passo.

Da quel giorno, e fino a ieri, in tanti hanno atteso invano che l’uomo prestato alla politica tornasse alle sue occupazioni. Speranza delusa perché Berlusconi, entrato in politica anche per difendersi e difendere gli interessi del suo gruppo e della sua famiglia, ci prese subito gusto e dalla politica è uscito solo ora. Non fu il successo del ‘94 a trascinarlo alla vittoria del 2001, quanto la sconfitta del 1996 e la malattia. Quel tumore scoperto nel 1997 che «mi costrinse a mesi da incubo. La vita dopo simili prove cambia davvero», disse tre anni dopo a dei ragazzi di una comunità di recupero. Stavolta invece non ce l’ha fatta.

IL CETO MEDIO
Politicamente, dopo la sconfitta subita nel 1996 con Romano Prodi a palazzo Chigi, era dato in uscita dalla politica e per anni non fece nulla per contraddire chi sperava lo facesse davvero. Invece beffò tutti rimettendosi alla guida dell’«esercito di moderati». Si mise alla testa di un ceto medio sempre più deluso e impoverito dalla crisi, dalla globalizzazione e dalla morte dei partiti della prima Repubblica accelerata da un vento giustizialista che il Cavaliere prima cavalcò con le sue tv e le lunghe dirette davanti al tribunale di Milano, e poi cercò di combattere. Tra il 1997 e il 1998 sconfisse il tumore, quotò le aziende in Borsa e mise Claudio Scajola alla guida di Forza Italia. Insieme trasformarono i club di FI dove si distribuivano mentine e gagliardetti, in un partito vero e proprio, il Cavaliere del «mi consenta» iniziò a trasformarsi nel “Caimano” - come lo raccontò Nanni Moretti - che tutti inghiotte e che fa volare gli azzurri ogni volta che va in tv. Eppure una certa pubblicistica, e intellettuali dalla visione rivelatasi non lunga, continuarono a definire FI «partito di plastica», considerando il suo leader una sorta di abusivo della politica che però vinse ancora battendo chi lo avrebbe visto bene con «lo scolapasta in testa». Le elezioni regionali del Duemila le fece girando l’Italia su una nave che partì da Genova e arrivò a Venezia.

LA RIVINCITA
A bordo di Azzurra, nave della Libertà, salirono in tanti ad omaggiare colui che un anno dopo avrebbe preso il potere stravincendo le elezioni del 2001 contro un generoso Francesco Rutelli, leader di un centro-sinistra ancora con il trattino. Romano Prodi era sceso da tempo dal pullman e anche da palazzo Chigi. Andò a presiedere la Commissione europea per cinque anni finendo più volte per incrociare il suo destino con quello del Berlusconi-premier, in consigli Ue e vertici internazionali. Su Azzurra iniziarono i festeggiamenti che durarono un anno e tante furono le conversioni di politici ed intellettuali che salirono a bordo plaudendo «alla scelta di campo fra la certezza della libertà e il forte rischio di un regime». Non era vero ma in tuta, e con mamma Rosa al seguito, Berlusconi riprese i temi del ‘94, del Paese da salvare dal regime e picchiò duro sul pericolo comunista, sulla scelta di campo. Gli alleati erano ancora quelli del ‘94, ma con Umberto Bossi passato dalla secessione al federalismo e Gianfranco Fini, il delfino che più di un errore commise con l’alleato che dai gagliardetti lo portò sino alla Farnesina e contro il quale perse una memorabile sfida con quel «che fai mi cacci» del 2010.

ANCORA L’ANTICOMUNISMO
Nel Duemila il muro di Berlino era caduto da tempo, i paesi dell’ex cortina di ferro viaggiavano già verso Bruxelles e la Nato, ma il Cavaliere al primo e quasi unico (ne fece solo un altro) congresso di Assago di Forza Italia rispolverò tutte le parole d’ordine delle elezioni del ‘48. Compreso un “tunnel della Libertà” allestito all’ingresso con tanto di foto di De Gasperi, Togliatti e manifesti dei comunisti che strappavano bambini dal grembo delle mamme per consegnarli a Stalin. Spontanee o meno, molte sue gaffe che gli facevano guadagnare i titoli dei giornali e che inorridivano i benpensanti, scaldavano i cuori di quel popolo che si accalcava ad ogni manifestazione. Il suo fiuto lo aveva già dimostrato nel ‘93 quando, da un supermercato, annunciò la sua personale preferenza per Gianfranco Fini, allora segretario del Msi, nella corsa al Campidoglio. Vinse Rutelli, ma il Cavaliere archiviò in questo modo l’arco costituzionale e si accaparrò i voti di quella destra missina a cui la Dc - nella prima Repubblica - aveva fatto più volte ricorso per fermare l’avanzata del Pci.

ALL’ESTERO
Un “saccheggio” di voti, anche di nostalgici, dopo aver affondato a piene mani in ciò che rimaneva della Dc e di tutto il pentapartito, socialisti in testa. Gli piaceva piacere e convincere, anche all’estero. Prima di stringere un rapporto stretto con George W. Bush e con l’amico - quasi rinnegato dopo l’invasione in Ucraina - Vladimir Putin, fuori dall’Italia era conosciuto per il Milan di Marco Van Basten, per quella immagine di tycoon che si era guadagnato negli anni delle televisione e per quel racconto mai lusinghiero su cene eleganti e bunga-bunga. Per la prima volta nella City di Londra si affidò a Giulio Tremonti. Ci tornò da solo qualche anno dopo per incontrare nella sua casa la mitica Margaret Thatcher che gli consigliò di non leggere i giornali la mattina. Un consiglio che sventolò più volte ma che non seguì mai e a tarda sera, quando rientrava in via del Plebiscito, faceva fermare la sua auto all’edicola di via del Corso per acquistare la prima edizione dei quotidiani in edicola.

IL PALAZZO
Gli piaceva piacere, appunto. Nella sua «rivoluzione liberale» c’era un po’ di tutto, ma poi, quando nel 2001 andò al governo, si piegò alla burocrazia e al notabilato della pubblica amministrazione firmando uno dei più generosi contratti del pubblico impiego e continuando a riempire di impiegati e funzionari la struttura di palazzo Chigi. La rivoluzione liberale, il meno tasse per tutti, la fine della burocrazia, la stessa idea di poter ammodernare le istituzioni venne avvolta nel grumo di uno scontro con la magistratura che finì col salvare questo o quello sacrificando però i motivi che qualche anno prima avevano decretato la vittoria elettorale.

CONSIGLIERI E COLLABORATORI
Gianni Letta è stato il suo ambasciatore a Roma ancor prima della sua discesa in politica e un consigliere fidato, ma sempre autonomo per intelligenza e rapporti. Fedele Confalonieri il guardiano del Berlusconi-imprenditore. Adriano Galliani la punta di lancio prima nelle televisioni, poi nel Milan ed infine nella romantica avventura del Monza. Marcello Dell’Utri il discusso ponte tra due mondi che spesso si sono guardati in cagnesco: l’azienda e la politica. Niccolò Querci l’assistente personale che lo accompagnò sino alla vittoria del 2001 lasciando poi il testimone a Valentino Valentini. A tenere insieme il tutto, famiglia compresa, era il Cavaliere che la notte diceva di stare spesso «sveglio a guardare il soffitto» tanti erano i problemi che lo assillavano. A tutti Berlusconi doveva molto, ma molti dovevano tantissimo all’uomo che ha allungato e cambiato la vita a decine di collaboratori. Dallo scomparso Paolo Bonaiuti, arrivato nel ‘95 alla corte di Silvio tramite l’avvocato e poi capogruppo di FI Vittorio Dotti a Sandro Bondi, comunista di Fivizzano, e poi ministro nei governi di centrodestra. In molti avevano “debiti” di riconoscenza tranne una: Marinella Brambilla. Storica assistente sin dagli anni ‘80 braccio destro e sinistro. Figlia di una governante dell’ufficio di via Rovani e un po’ madre del Cavaliere che ha sempre chiamato il “Dottore”. Unica testimone delle tante stagioni del Cavaliere, dei tanti mondi passati nelle mani del «Dottore» che gli avrebbe voluto impedire di sciare e di andare sulle due ruote. Affari, amori, clientes e rompiscatole. Tutto per anni è passato dalle orecchie di Marinella e una sua parola pesava sul «Dottore» al punto che per qualche anno le strade dei due si sono divaricate, salvo poi ricongiungersi dopo il caos delle olgettine, del bunga-bunga. Marinella torna a far da scudo al Dottore.

I GIORNALISTI
Ai collaboratori il Cavaliere chiedeva dedizione e fedeltà e spesso li arruolava per strada o in un corridoio di palazzo Grazioli o di Arcore. Gli piaceva assoldare ex giornalisti «perché mogli o fidanzate sono abituate a mariti che fanno tardi e lavorano di domenica». Ne arruolò tanti: Gianni Letta, Giuliano Ferrara, Paolo Bonaiuti e il fedelissimo Antonio Tajani. Con i giornalisti era cordiale, ma anche prevenuto e molto esigente. Voleva convincere e piacere, corteggiava i cronisti di giornali “nemici”, pretendeva sussiego dalle sue testate. Con chi lo seguiva nelle campagne elettorali, come nell’attività di governo, si divertiva sapendo che ogni sua frase poteva diventare un titolo, un valore aggiunto per il giornale del giorno dopo. Vanesio, certamente, ma anche precursore della politica-spettacolo che macina consensi anche grazie ad una foto, ad una gaffe, ad una delle sue storielle infarcite di frasi politicamente scorrette. Alle corna fatte nel corso di una foto di gruppo a Caceres, o il nascondino con la Merkel, come l’Obama abbronzato, la foto con la regina Elisabetta che manda fuori dai gangheri.

L’INIZIO DELLA FINE
Tantissimi i “bracci destri” - specie in tema di giustizia - di una stagione finita in un certo senso a cavallo tra il 2008 e il 2011 e dopo il secondo divorzio consumato dal Cavaliere con Veronica Lario e la morte di mamma Rosa. Da quel momento il Cavaliere che diceva di avere «il sole in tasca», che teneva riunioni dove il solo esserci dava lustro, cambiò. Gli antichi sodali vennero sempre più spesso sostituiti da astuti faccendieri senza scrupoli, accompagnati spesso da giovani donzelle. Fu l’inizio della fine. «Un complotto», disse, al quale si era però prestato anche per quella voglia di non stare mai da solo, di essere sempre al centro dell’attenzione e avere una platea a cui raccontare molteplici vite.

IL PRECURSORE
Uomo generoso ma anche spietato verso coloro che nel tempo hanno tentato di archiviarlo come incidente delle istituzioni. Un leader politico che ha radicalmente cambiato la comunicazione dando voce, prima di internet e dei social, a quella parte di Paese che non ne aveva, diventando il precursore di quella anti-politica che poi lui stesso detestò. A loro ha offerto più volte un sogno rivelatosi illusione, mentre alle élites ha concesso rassicuranti promesse di continuità. Nel paese del Gattopardo e delle pizzerie «sempre piene», il racconto del sogno che avrebbe dovuto decuplicare “i berlusconi” prometteva un secondo miracolo economico che però si infranse presto, prima per tutelare gli interessi suoi e dei suoi compagni di viaggio e poi sotto i colpi delle cene eleganti. Fu l’inizio della fine e i danni che procurò quella stagione li ha subiti con la decadenza da senatore avvenuta a seguito di una legge che il suo stesso partito votò. Uno sgarro superato solo in parte con il ritorno a palazzo Madama del 2022. 

LA FAMIGLIA E GLI ELETTI
La condanna, i servizi sociali, il ritorno della figlia Marina che da sempre ha portato un po’ d’ordine nella vita di un padre difeso a spada tratta. Poi l’affetto di Piersilvio, come dei figli di Veronica, Barbara, Eleonora e Luigi, e della valanga di nipoti ai quali permetteva di giocare con Dudù e la schiera a quattro zampe che aveva il permesso di stropicciare il prato di Arcore. Ma anche l’arrivo (e la partenza) di Francesca Pascale, quindi la storia d’amore con la “quasi-moglie” Marta Fascina, ritrovatasi leader silenziosa in un partito famiglia che a tratti ha anche provato ad archiviare Silvio. Questione irrisolta che se ha lasciato sul campo decine di aspiranti protagonisti, da ultima Licia Ronzulli, ha anche incluso pochi fedelissimi, in primis Tajani.

La politica del resto, è rimasta centrale pur scivolando via via sullo sfondo. Al pari degli eletti di Forza Italia. Sempre meno, dal 2018 in poi, ma comunque dipendenti da un uomo che nel frattempo si era voluto far statista e che in fondo ha continuato a rimproverare ai suoi alleati, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, di non considerarlo tale. Una ferita rimarginata appena dall’elezione a senatore, dall’operazione scoiattolo auto-indotta per portarsi al Quirinale e dall’ultima centralità donatagli da un governo, quello Meloni, che deve a lui molto nel presente ma di più nel passato. Poi la leucemia e quel cuore che non ha retto e che ha fatto uscire Berlusconi dal mondo prima che dalla politica.

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