Roccella: «No a forzature gender, si è maschi o femmine. E non è oscurantismo»

La ministra della Famiglia dopo la mancata firma dell’Italia sul testo Ue: «Noi siamo per la libertà ma conserviamo il principio della genitorialità»

Roccella: «No a forzature gender, si è maschi o femmine. E non è oscurantismo»
di Mario Ajello
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Domenica 19 Maggio 2024, 00:05

Ministro Roccella, l’Italia risulta isolata: non potevamo anche noi sottoscrivere il documento Ue sui diritti Lgbtq? Siamo ormai considerati un Paese non solo conservatore ma addirittura reazionario.

«E invece, non lo siamo affatto. La nostra è una posizione liberale. Abbiamo aderito infatti a una dichiarazione che aveva uno scopo unitario e perciò è stata approvata da tutti. Mi riferisco a quella contro la transfobia, la bifobia, l’omofobia. Si tratta del documento del comitato interministeriale dei Paesi membri dell’Unione europea. Su questo, nessun dubbio. Perché siamo arciconvinti, e non da ora, che nessuno debba essere lasciato indietro, e che la lotta alle discriminazioni debba essere un obiettivo primario e unitario».

Ma se siete per i diritti e contro le discriminazioni , perché il documento promosso dal Belgio e approvato da quasi tutti, che andava proprio in questo senso, l’Italia lo ha rifiutato?

«Lo troviamo molto sbilanciato verso il cosiddetto gender. Chiede agli Stati Ue, e questo è l’incipit, di affermare il loro impegno in favore dell’identità gender. A noi questo non va bene. L’orientamento sessuale, cioè chi ami, con chi vai a letto, è stato inserito come una delle questioni secondarie su cui si chiede l’impegno. Mentre noi consideriamo questa come una delle questioni fondamentali, e abbiamo un’idea molto chiara in proposito: chiunque può scegliere con chi avere rapporti amorosi e sessuali, questa è la base della libertà personale».

Nel documento si affermano tre libertà: libertà di vivere come si vuole, libertà di amare chi si vuole, libertà di essere chi si vuole. Non sono giuste tutte e tre?

«Sulle prime due libertà, nessun dubbio. Ma la terza a mio parere è una forzatura ideologica e una negazione della realtà dei fatti, perché la realtà del corpo e l’appartenenza sessuale non si può cambiare fino in fondo. E’ legittimo intervenire per adattare ai propri disagi e ai propri bisogni il proprio corpo, ma non si può fare di questo un canone. Il documento Ue contiene due elementi che ci hanno spinto al disaccordo. Si parla, in quelle pagine, di espressione di genere. Lei sa che cosa significa?».

Vagamente.

«Vuol dire come io comunico all’esterno il mio genere auto-percepito. Per esempio: i pronomi, come una persona vuole essere chiamata e considerata all’esterno. Queste materie, in alcuni Paesi europei, sono diventate cose molto prescrittive. Tu pretendi che gli altri ti considerino e ti chiamino solo secondo la tua auto-percezione, la tua volontà, che naturalmente può anche cambiare nel tempo e magari può cambiare più volte. Noi questo non lo abbiamo accettato».

Scusi, ma che cosa c’è di male in questo?

«Credo, e un terzo dei Paesi Ue manifesta la medesima sensibilità, che debba valere ancora il cosiddetto binarismo sessuale: ci sono le femmine e ci sono i maschi».

Ma non è escludente e conservatrice questa unica distinzione?

«Escludente no, conservatrice, sì. Nel senso che intendiamo conservare l’antropologia in cui siamo sempre stati immersi e su cui si fonda la genitorialità e la continuità del gruppo umano, perché se togli maschi e femmine anche la genitorialità cambia e non ci si può meravigliare se i figli non si fanno più».

Ma il mondo sta cambiando anche nella genitorialità, come fate a non accorgervene?

«Ogni persona dev’essere libera e non discriminata: questo è il punto base. Perciò siamo a favore dell’inclusione di chi decide di cambiare sesso e siamo contro la transfobia. Ma c’è un problema di fondo che va chiarito con coraggio. Qui si vuole cambiare il paradigma dell’umano. Si cerca di negare non solo la biologia ma di negare anche il corpo, che è basato sulla differenza sessuale tra uomini e donne. Il corpo non va considerato un oggetto che ci portiamo appresso. Una persona è il suo corpo. Puoi fare la transizione sessuale e tutte le operazioni conseguenti alla tua scelta, prendendo gli ormoni. Ma dovrai prendere i farmaci per tutta la vita, perché i tuoi cromosomi resteranno sempre gli stessi, derivati dalla nascita, anzi dalla fecondazione».

Ma perché non dare diritti a chi sceglie di non essere più quello che è stato?

«In Italia, la transizione sessuale è accompagnata dal punto di vista normativo e sanitario, ed è più che ammessa. Quel che si vuole affermare, e non va bene, è che il sesso è quello percepito e che comunque esiste un ventaglio di possibilità che rientrano nella categoria del fluido. C’è un documento molto importante del Comitato bioetico italiano, che risale a una decina di anni fa ed è stato votato all’unanimità da destra e sinistra e da grandi esponenti del mondo della scienza, nel quale si tratta dell’intersessualità come un disturbo molto raro della differenziazione sessuale. Nel documento Ue, viceversa, si parla di “caratteristiche sessuali” per indicare l’intersessualità. Si vuole cioè affermare che non si tratta di disturbi, ma di varianti possibili. Passo dopo passo, documento dopo documento, si vuole smontare il paradigma cosiddetto binarista della differenza sessuale. Per poi codificare per legge questa presunta innovazione. Noi vogliamo interrompere subito la catena».

Scusi, ma per esempio che male c’è che ci debba essere, come dice il testo europeo, un rappresentante Lgbtq nelle scuole per monitorare l’osservanza dei diritti?

«Nelle scuole sono già in corso moltissime iniziative in questo senso. E siamo in prima fila, come governo e come Paese, contro ogni discriminazione: dagli atti di bullismo a tutte le altre prevaricazioni. Però è sbagliato specificare troppo. Più vuoi fare elenchi dettagliati, più indichi singole categorie e più persone restano fuori. Non si possono fare leggi in cui metto in fila tutte le differenze, perché ne resterà sempre qualcuna che non hai considerato. Anche nella Ue bisogna ci sia un maggiore impegno per far crescere l’attenzione verso qualsiasi diversità individuale. Insomma meno ideologia e più cultura del rispetto ».

E che cosa dice a proposito dei rappresentanti delle associazioni pro-vita nei consultori per fermare le donne che abortiscono. Non può apparire una provocazione?

«Questa è una materia che merita un’intervista a parte, e la faremo».

Ma lo stesso discorso vale per le unioni civili: molti conservatori europei sostengono che vanno equiparate al matrimonio tradizionale. Perché in Italia esiste una forzatura in senso contrario?

«Io questa forzatura non riesco a vederla. Le unioni civili sono sostanzialmente equiparate ai matrimoni. La vera questione è quella della genitorialità. Maternità e paternità non possono diventare materie di contratto. La genitorialità adottiva è un atto riparativo, di amore e solidarietà. Un modo di esprimere, da parte, della comunità sociale, la responsabilità per chi non ha genitori. Così si rimedia a una situazione di disagio e di mancanza. Invece, nel caso della genitorialità dell’utero in affitto, c’è la progettazione di un bambino che mancherà dei genitori biologici. La maternità surrogata, o utero in affitto, necessita di un contratto, e di un’enorme organizzazione transnazionale in cui il passaggio di denaro è l’elemento fondamentale. Tutto questo rappresenta non un passo in avanti di civiltà ma un arretramento».

Non sarebbe superabile l’utero in affitto consentendo l’adozione alle coppie gay?

«E’ un problema complesso. I bambini adottabili sono sempre di meno. E ai bambini adottabili, che è difficile siano neonati e spesso vengono dall’estero e hanno non di rado vissuti complicati, è bene dare le condizioni più facilitanti, che permettano loro un inserimento più semplice».

Lei prima ha usato l’espressione «arretramento». Le chiedo, passando ad altro: è un arretramento, verso il sessantottismo versione parodia, anche l’ondata di proteste nelle università? Lei ha più volte subito la censura antagonista, e l’alto giorno è toccato a Mattarella.

«Il presidente, quando mi è stato impedito di parlare agli Stati generali della natalità, oltre ad avere preso una posizione pubblica mi ha telefonato e dicendomi parole che mi hanno resa felice. Ha detto che chi sequestra la libertà di parola ferisce un diritto costituzionale. Tutti abbiamo il diritto di parlare, dopo di che puoi benissimo contestare quello che dico».

Manca il dialogo, perché la censura dal basso è diventata totalitaria?

«Se nel ‘68 o negli anni ‘70 avessero proposto a un contestatore di fare un confronto diretto con un ministro, quello si sarebbe buttato a pesce. Oggi noi chiediamo sempre il dialogo, ma niente: si cerca soltanto di tacitare gli altri e non di parlare insieme».

Una rivolta contro il padre? Il rifiuto dell’autorità?

«Non credo sia questo, perché l’autorità, e tanto più l’autoritarismo, non appartengono più alla società odierna.

Direi che c’è un generalizzato, ma parliamo pur sempre di minoranze, disagio giovanile a cui si accompagna una rinuncia della responsabilità educativa da parte di tutti i soggetti: sia la famiglia sia la scuola sia l’intera società. C’è un certo abbandono dei ragazzi al fai da te culturale e informativo, e in questo spazio naturalmente i social e la forza del gruppo, con il passaparola, con lo scambio di suggestioni e di idee, incidono decisamente. Mentre la distanza con il mondo adulto è un abisso che si allarga sempre più velocemente».

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