Soldati italiani in Libano, le lettere di Crosetto all'Onu: «Più impegno per i nostri militari»

Alla preoccupazione per le sorti del contingente italiano si sarebbe aggiunta l’irritazione per l’inerzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che secondo il governo Meloni non starebbe facendo abbastanza per garantire la sicurezza delle truppe internazionali

Libano, le lettere del ministro della Difesa Crosetto all'Onu: «Più impegno per i nostri soldati»
di Francesco Bechis
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 12:11

Spostarli non è un’opzione. Sono più di mille i Caschi blu italiani schierati alla frontiera tra Libano e Israele, nella missione Unifil. E da lì non se ne andranno, perché rimuovere il cuscinetto militare dell’Onu, lasciare scoperto il confine più incendiario della guerra in Medio Oriente, la “linea blu” teatro di continui lanci di missili tra Israele e le milizie di Hezbollah, avrebbe effetti devastanti. Eppure un cambio di passo è necessario. Lo ha chiesto il governo italiano all’Onu, nei giorni scorsi.

LA MISSIVA

Una lettera, firmata dal ministro della Difesa Guido Crosetto e indirizzata al francese Jean-Pierre Lacroix, a capo delle Operazioni di Pace al Palazzo di Vetro, ha lanciato l’allarme.

A Roma cresce la preoccupazione per le sorti del contingente italiano in Libano, il più imponente per dimensioni e capacità. E insieme l’irritazione per l’inerzia dell’Onu che, è la percezione del governo Meloni, non sta facendo abbastanza per garantire la sicurezza delle truppe internazionali schierate nella missione di pace ed esposte al fuoco incrociato.

Serve un chiarimento sulle regole di ingaggio così come le misure che le Nazioni Unite intendono prendere per evitare un incidente. Ritenuto non probabile, ma tuttavia possibile dai nostri apparati di sicurezza in queste ore sospese dopo l’attacco iraniano, con gli occhi del mondo puntati su Benjamin Netanyahu.

La lettera di Crosetto precede di qualche giorno il lancio di missili e droni da parte di Teheran. Che ora ridà corpo alle remore espresse in quella corrispondenza. «Cosa chiediamo all’Onu per i nostri militari? Il diritto ad “esistere”, spiega una fonte della Difesa italiana tradendo l’irritazione a Roma. La percezione diffusa al governo è che le Nazioni Unite in Libano non stiano facendo abbastanza, sul piano diplomatico, per dare rassicurazioni sull’incolumità dei contingenti. «Solo l’Onu può parlare al tempo stesso con l’Iran e Israele, con Hezbollah e con la Giordania», si sfoga un alto ufficiale. Finora gli incidenti si contano sulle dita di una mano.

A metà ottobre, a guerra appena iniziata, un razzo ha colpito il quartier generale di Unifil a Naqura, fortunatamente senza fare vittime. È successo altre volte: non di rado si tratta di razzi di Hezbollah abbattuti dal sistema di difesa israeliano Iron Dome: i detriti cadono, esplodono, finiscono sulla linea blu. Episodi isolati, che tuttavia hanno squarciato un velo sulla precarietà dei Caschi Blu al confine libanese e la fragilità delle loro regole di ingaggio. Che di fatto rendono nulle le possibilità di reagire al fuoco contro un obiettivo nemico. Anche perché le risoluzioni Onu che hanno dato vita alla missione di pace, nel lontano 1978, non prevedono la presenza di nemici lungo la striscia fra Libano e Israele, la “blue line” tracciata il 7 giugno del 2000 che divide i due Stati e risale verso le Alture del Golan.

La situazione sul campo però, con la striscia libanese diventata ormai il secondo fronte della guerra, rischia di rendere obsolete quelle previsioni. Se i soldati finiscono sotto il tiro dei missili di Hezbollah, come possono reagire? E fin dove possono spingersi? Sono i dubbi squadernati dal governo italiano nella corrispondenza con il Palazzo di Vetro. Li aveva manifestati già, Crosetto, con un viaggio a New York lo scorso novembre, a un mese dal 7 ottobre, scegliendo parole ruvide a margine di un incontro con Lacroix: «Occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla».

LE PROSSIME MOSSE

Nei mesi sono seguite altre missive. Fino all’ultima, alla vigilia dell’attacco iraniano. Che rende ora urgente, ha confessato il ministro in audizione alle Commissioni Esteri e Difesa della Camera, lunedì, «effettuare una valutazione di sicurezza aggiornata e condivisa e assumere ogni possibile misura a protezione del personale Unifil».

Passi indietro non se ne faranno. Troppo grande il peso sulle spalle dell’Italia, che guida il Comando del Settore Ovest: circa 3500 militari di diciassette nazionalità diverse. Una presenza che dà a Roma un peso specifico nella diplomazia della crisi mediorientale e che Giorgia Meloni considera irrinunciabile. A Pasqua la premier ha fatto visita ai contingenti italiani. E stasera il tema potrebbe finire sul tavolo del Consiglio europeo: nell’ordine del giorno, non a caso, l’Italia ha chiesto di inserire «il tema della stabilità del Libano».

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