Padre Mourad: «Ecco i miei giorni di prigionia sotto i miliziani dell'Isis»

padre Jacques Mourad
di Franca Giansoldati
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Giovedì 10 Dicembre 2015, 19:01 - Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 18:13
Ecco come è vivere sotto la minaccia dei tagliagole islamici. La racconta padre Jacques Mourad, il religioso siriano rapito dai miliziani del Daesh il 21 maggio e liberato il 10 ottobre scorso. Un calvario. Paura, umiliazioni, botte. In una conferenza stampa organizzata dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, il monaco (appartenente alla comunità fondata da padre Paolo Dall’Oglio ancora nelle mani dell’Isis), ha parlato dei lunghi giorni del suo sequestro.

«Degli uomini incappucciati sono entrati nel monastero di Mar Elian e mi hanno prelevato assieme ad un nostro volontario, Boutros. Ci hanno obbligati a salire in macchina e ci hanno lasciato in mezzo al deserto per quattro giorni, bendati e incatenati. Poi ci hanno portati a Raqqa: capitale dello Stato Islamico».
«A Raqqa ci tenevano rinchiusi in un piccolo bagno – continua padre Mourad – avevano scelto appositamente quella stanza per umiliarci, ma la nostra missione è quella di essere umili, anche di fronte alla violenza». In quel piccolo bagno il religioso trascorrerà ben 84 giorni. «I jihadisti ci insultavano spesso, ma il momento più difficile era quando ci intimavano: “O vi convertite all’Islam o vi tagliamo la testa». Nei lunghi mesi di prigionia, padre Jacques ha trovato conforto nella recita del rosario e nella preghiera dell’abbandono di Charles de Foucauld.

L’11 agosto gli uomini di al Baghdadi hanno nuovamente prelevato il religioso e lo hanno condotto in auto. «Pensavo fosse giunta la mia ora; abbiamo viaggiato per oltre quattro ore, poi la macchina si è fermata». Una volta sceso, padre Jacques riconosce un giovane della sua parrocchia. Dietro di lui i 250 cristiani rapiti dallo Stato Islamico qualche giorno prima a Qaryatayn. Il tutto avviene nei pressi di Palmyra, e da lì padre Mourad e i suoi fedeli torneranno a casa soltanto il primo settembre. «Siamo quasi tornati ad una vita normale, ma ci era assolutamente proibito uscire dalla città».

Nei 40 giorni che è rimasto a Qaryatayn, il religioso ha celebrato la messa in locali sotterranei, «sia per non farci vedere mentre pregavamo, sia per ripararci dai bombardamenti». Poi il 10 ottobre, con l’aiuto di un uomo musulmano e di un sacerdote siro-ortodosso, padre Jacques è riuscito a fuggire. «A Qaryatayn la vita era divenuta impossibile: senza cibo, né acqua, né elettricità. Poco a poco tutti i cristiani hanno abbandonato la città. Ne restano undici ancora in mano ad Isis, mentre sono otto le vite dei cristiani spezzate dai jihadisti». Sulla sorte di padre dall’Oglio non ha voluto sbilanciarsi: «preghiamo perché accada il miracolo della sua liberazione».
 
 
 
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