Terremoto, ansia e paura nelle tende la lunga notte degli sfollati

Terremoto, ansia e paura nelle tende la lunga notte degli sfollati
di Renato Pezzini
3 Minuti di Lettura
Venerdì 26 Agosto 2016, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 09:36

dal nostro inviato
PESCARA DEL TRONTO La prima notte è una notte ad occhi spalancati. Il buio impedisce di vedere lo spettacolo rivoltante di quell'ammasso di sassi che fino a ventiquattro fa si chiamava Pescara del Tronto. Dal paese che non c'è più arrivano solo le luci vaghe delle cellule fotoelettriche e i rumori lontani dei generatori. Su si continua a scavare. Giù a valle la Protezione Civile ha alzato una ventina di tende, tutte blu, ben allineate una vicina all'altra in un ordine che stride con lo sconquassato scompiglio imposto dal terremoto.
 


GLI AIUTI
Hanno distribuito un pasto caldo, hanno dato coperte e vestiti, hanno dato la buonanotte agli sfollati. Ma nessuno dorme. Dalle tende arrivano bisbigli e lamenti, e qualche urlo quando le scosse di assestamento battono più forte del solito. Quella delle 5.17 del mattino è potente, c'è perfino chi esce di corsa dalle tende come scappando da un pericolo che non c'è, come se quel tetto di telo blu sopra la testa potesse avere la forza devastatrice e assassina dei tetti crollati la notte precedente.

 

Fabio è alla sua millesima sigaretta, cammina avanti e indietro in mezzo alla tendopoli. Butta la cicca e dopo un po' ne accende un'altra. La notte porta ansia e cattivi presagi. E poi dopo una giornata frenetica, isterica, dolente e disperata è il primo momento in cui ci si ferma a pensare, a immaginare un futuro che adesso è inimmaginabile: «Cosa faremo? E chi lo sa. Non abbiamo più niente. Io non so neanche se rimarremo qui. Perché continuare a vivere in una terra che ci vuole male?». Ma andare via vorrebbe dire cominciare una nuova vita, un nuovo lavoro: «E chi lo dà a me un nuovo lavoro? Ho 55 anni, faccio l'impiegato, non so fare altro. Fossi un elettricista o un idraulico potrei provare a cambiare, ma così... L'unica cosa che so è che tutto è cambiato. Ma in peggio».
Ogni tenda ha sei posti letto e la Protezione Civile immaginava che fossero almeno un centinaio i senzatetto. Quelli che affollavano le giornate estive di Pescara del Tronto, però, erano per lo più parenti in visita estiva. Chi si è salvato è già ripartito per casa, Roma, o Napoli, o Ancona. Gli altri, quelli che non sono morti e non hanno un posto dove stare, sono qualche decina. Campi simili sono stati allestiti a Grisciano, cinque chilometri più su, e a Arquata del Tronto, cinque chilometri più giù. Molte tende dunque sono vuote e, paradossalmente, questo spopolamento rende ancora più cupa la notte, quasi un presagio di abbandono: «Siamo pochi, conteremo poco».

IL RACCONTO
Tiziana Paci a Pescara del Tronto gestisce una macelleria. O meglio, gestiva: perché la macelleria non c'è più, e probabilmente non ci saranno più clienti per mandarla avanti. Ma lei per ora non ci pensa. Pensa alla sua fortuna: «La mia casa è una delle poche rimaste in piedi, per quanto inagibile». Pensa alla fortuna dei figli: «Erano andati in una discoteca all'aperto di Spelonga, con gli amici, e quando è arrivato il terremoto erano in piazza a ballare». Pensa alla sfortuna del marito, Antonio. Lui si è salvato, ma proprio mentre sulla tendopoli scendeva la notte il padre, ottantenne, ha avuto un'ischemia, l'hanno portato d'urgenza all'ospedale di Ancona, ed è gravissimo: «Quello che non ha fatto il terremoto lo ha fatto il destino».