Legnini: «Toghe che sbagliano, le sanzioni non bastano»

Legnini: «Toghe che sbagliano, le sanzioni non bastano»
di Sara Menafra
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Mercoledì 21 Febbraio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 00:05

Vicepresidente Legnini, l’altro ieri è iniziato il processo disciplinare a Woodcock, domani ci sarà la conclusione di quello alla giudice Saguto e negli ultimi tre mesi sono stati sospesi quattro magistrati. Cosa succede nei tribunali italiani? 
«Non posso ovviamente esprimere alcuna valutazione di merito sui procedimenti in corso, ma non vi è dubbio che viviamo una fase particolarmente intensa nell’esercizio della funzione disciplinare. Si assiste ad una concentrazione di casi complessi ed impegnativi, che stiamo affrontando con speditezza, garantendo riserbo ed equilibrio e per questo voglio ringraziare i componenti della sezione disciplinare per l’enorme lavoro svolto. Dal corretto, efficiente ed imparziale esercizio dei poteri disciplinari passa la tutela dell’indipendenza e del prestigio dell’ordine giudiziario e quindi anche il livello di fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario. Non si tratta, come spesso si tende a pensare, di una sorta di giustizia domestica, ma di un’attività giurisdizionale piena, che la Costituzione attribuisce al Csm».

Ogni anno arrivano migliaia di lettere sia al Csm sia alla procura generale di cittadini che segnalano qualche comportamento da parte delle toghe che reputano inopportuno. Al di là di chi è arrabbiato col proprio giudice, c’è un problema più generale?
«È da tempo che registriamo un aumento di denunce, esposti e segnalazioni. Quando assumono un rilievo disciplinare, provvediamo a trasmetterle al Procuratore generale che, come è noto, è il titolare insieme al ministro della Giustizia dell’azione disciplinare, il cui esercizio è obbligatorio. Quando ciò non viene riscontrato e si è in presenza di anomalie nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e non solo, possono esservi gli estremi per avviare un procedimento di incompatibilità ambientale o funzionale».

Ma il meccanismo funziona? È una risposta adeguata? 
«Il procedimento disciplinare, come riformato nel 2006, si sta rivelando efficace e i dati che avete pubblicato sono eloquenti: segnalano anche la tempestività nelle decisioni disciplinari. Non altrettanto possiamo dire per il procedimento che accerta le incompatibilità: si tratta di uno strumento spesso farraginoso e inefficace».

In passato, eravamo abituati al Csm che convocava la prima commissione appena succedeva un fatto rilevante relativo ad un magistrato...
«Con la riforma dell’ordinamento giudiziario, il procedimento di incompatibilità si limita ad intervenire sulle condotte incolpevoli, riservando all’azione disciplinare quelle colpevoli. Abbiamo di recente riformato il procedimento volto a accertare le incompatibilità, rendendolo più certo e spedito. E i primi risultati li stiamo cogliendo in queste settimane. Tuttavia, occorre una seria riforma legislativa di tale strumento se si vuole che il Csm intervenga con tempestività ed efficacia su ogni situazione di lesione del prestigio e della indipendenza della magistratura non ricompresa nelle fattispecie disciplinari previste dalla legge». 

Ma come? 
«Mi auguro che nella prossima legislatura il Parlamento possa riformare l’istituto dell’incompatibilità ambientale e funzionale, innanzitutto eliminando il vincolo del carattere incolpevole delle condotte che limita fortemente la portata e l’incisività dell’intervento del Csm». 

Di quali condotte stiamo parlando? 
«Se ne presentano diverse. Penso, ad esempio, al grande tema dei rapporti con i mezzi di informazione nonché al diffuso impiego, da parte dei magistrati, dei social network. Abbiamo registrato episodi molto discutibili, capaci di ledere l’immagine e la percezione di imparzialità dei magistrati. Non sempre, però, si tratta di condotte riconducibili alle fattispecie disciplinari; ciò nonostante esse determinano situazioni di palese incompatibilità, di fronte alle quali il Consiglio Superiore manca degli strumenti per intervenire con prontezza. Le armi sono spuntate per effetto di un sistema che lascia ampie zone grigie, sulle quali occorre una seria riflessione che coinvolga innanzitutto la magistratura».

L’Anm ha un codice deontologico, a suo avviso è efficace?
«In quanto espressione dell’autodeterminazione e della libera organizzazione della magistratura, non può essere il Csm ad occuparsi di questo tema, né mi permetto di dare consigli. Posso solo registrare una forte attenzione sul tema da parte dell’Anm che da qualche tempo spesso ci richiede gli atti proprio al fine di applicare il codice deontologico. Qualche giorno fa, abbiamo incontrato una delegazione dell’Onu con il mandato di acquisire elementi sulle regole disciplinari e deontologiche vigenti per la magistratura nel nostro Paese. Ci hanno chiesto quale rapporto esiste tra le norme disciplinari e il codice deontologico dell’Anm. Non è stato semplice spiegarlo». 

C’è qualcos’altro che il Csm può fare?
«Oltre ad intervenire con legge sulle incompatibilità, e questo spetta al Parlamento, penso sia necessario introdurre, sempre con una disposizione legislativa, una fattispecie di chiusura del codice disciplinare che consenta di giudicare condotte lesive del prestigio della magistratura non ricomprese nelle fattispecie disciplinari oggi previste. E ciò senza scardinare ma integrando la tipizzazione degli illeciti introdotta con riforma del 2006. È bene dire, però, che si tratta di una proposta sulla quale vi è un diffuso dissenso da parte della magistratura associata. Più in generale, penso che occorra promuovere una riflessione circa la possibilità, per il Consiglio, di impiegare regole deontologiche al fine di valutare i percorsi di carriera dei magistrati, sostanzialmente utilizzando questi dati e fatti per valutarne l’operato in senso largo».

Quindi?
«In altre parole, al Consiglio spetta di applicare la legge e la sua normativa secondaria riguardo al sistema disciplinare e alle incompatibilità; ma se il legislatore non interverrà con le riforme di cui ho parlato, le condotte ricomprese in quella zona grigia a cui mi sono riferito potranno, al più, essere valutate nell’ambito degli altri procedimenti affidati al Csm: tra questi, in particolare, le valutazioni o il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi». 

Potreste approvare un vostro codice deontologico? 
«Si tratta di un terreno delicato e complesso, non c’è dubbio che ciò che è preferibile è un intervento legislativo». 

A proposito delle sentenze della disciplinare. Alcune sembrano davvero lievi: un magistrato che consumava cocaina in tribunale è stato condannato ad un anno di sospensione...
«Le sanzioni sono quelle previste dalla legge, si va dall’ammonimento fino alla destituzione.

Mi rendo conto che a volte le sanzioni possono apparire lievi ma le posso assicurare che l’incidenza che una condanna disciplinare ha sulla carriera del singolo magistrato, a prescindere dall’entità della sanzione, è molto rilevante».

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