Omicidio Macchi, dopo 30 anni arrestato l'assassino: è il compagno di liceo

Omicidio Macchi, dopo 30 anni arrestato l'assassino: è il compagno di liceo
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Venerdì 15 Gennaio 2016, 08:55 - Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 16:51

Una verità tremenda dopo 30 anni.  Lidia Macchi, la studentessa trovata morta in un bosco in provincia di Varese nel 1987, venne stuprata e poi uccisa da un compagno di liceo. Stefano Binda, l'uomo arrestato oggi per l'omicidio avvenuto quasi 30 anni fa, avrebbe prima violentato la ragazza e poi l'avrebbe uccisa perchè sarebbe stato convinto che lei si era concessa e che non avrebbe dovuto farlo per il suo «credo religioso». È quanto emerge dalla indagini che hanno portato stamani all'arresto. Sia l'uomo che la vittima frequentavano ambienti di comunione e liberazione e avevano studiato allo stesso liceo. L'arresto è stato eseguito dalla Squadra Mobile di Varese su disposizione del gip di Varese e su richiesta del sostituto pg di Milano, Carmen Manfredda.

Lidia Macchi era stata uccisa il 7 gennaio 1987 con 29 coltellate. Era andata a trovare una amica ricoverata all'ospedale a Cittiglio (Varese) e non era più tornata a casa. Il suo omicidio aveva fatto clamore anche perchè dalla data della sua scomparsa, due giorni prima, genitori, amici, compagni di Cl e forze dell'ordine l'avevano cercata ovunque fino al suo ritrovamento del suo corpo in un bosco. Lidia Macchi, aveva vent'anni ed era studentessa di legge alla Statale di Milano, e capo guida scout nella sua parrocchia di Varese. I genitori hanno sempre chiesto che venisse scoperta la verità.

Da quanto si è saputo in relazione all'imputazione di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa, Binda, 48 anni (aveva un anno in meno di Lidia Macchi all'epoca), avrebbe prima costretto la ragazza ad un rapporto non consenziente e poi l'avrebbe uccisa con coltellate «a gruppi di tre».

 In particolare, l'uomo, laureato in Filosofia e descritto come «colto», senza occupazione fissa (prima di essere arrestato viveva con la madre pensionata a Brebbia, nel Varesotto), e con un passato di droga negli anni
'90, sarebbe salito sull'auto della giovane il 5 gennaio 1987 nel parcheggio dell'ospedale di Cittiglio (Varese), dove Macchi si era recata per andare a trovare un'amica. L'auto con a bordo i due, sempre stando all' imputazione, si sarebbe mossa fino a raggiungere una zona boschiva non distante e là Binda, secondo l'accusa, avrebbe prima violentato la ragazza e poi l'avrebbe punita uccidendola, perchè nella sua ottica aveva «violato» il suo «credo religioso» 'concedendosì. Non è chiaro, nell'ambito delle indagini basate su una serie di indizi, se l'uomo abbia costretto la ragazza a salire in auto con lui nel parcheggio e ad appartarsi vicino al bosco.
L'avrebbe, poi, colpita, dopo la violenza, con numerose coltellate prima in macchina e poi mentre cercava di fuggire all'esterno. I colpi, in particolare, sarebbero stati inferti «alla schiena» e anche ad una gamba mentre
stava cercando di scappare. Lidia Macchi sarebbe morta per le ferite e per «asfissia» e dopo una lunga «agonia» in una «notte di gelo».
Quest'ultimo passaggio del capo di imputazione, formulato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, riprende alcune parole scritte nella misteriosa ed inquietante lettera anonima che arrivò il giorno dei funerali alla
famiglia Macchi. Lettera che, secondo le nuove indagini, sarebbe stata scritta proprio da Binda.


 


 Da quanto si è saputo, l'assassino sarebbe colui che il 9 gennaio dell'87, giorno dei funerali della ragazza, avrebbe inviato una lettera anonima a casa della famiglia Macchi intitolata 'In morte di un'amicà che conteneva riferimenti impliciti e inquietanti all'uccisione della giovane.

L'uomo arrestato stamani su disposizione del gip di Varese, Anna Giorgetti, è accusato di omicidio volontario aggravato. L'inchiesta sulla morte della ragazza era stata riaperta nel 2013 dal sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, che aveva avocato le indagini prima coordinate dalla Procura di Varese.
Nell'ambito della nuova inchiesta il sostituto pg aveva anche archiviato la posizione di un religioso che conosceva all'epoca la ragazza e che era rimasto sempre formalmente sospettato, prima dell'archiviazione. Inoltre, l'inchiesta milanese aveva portato anche ad indagare su Giuseppe Piccolomo, già condannato all'ergastolo per il così detto delitto 'delle mani mozzatè, avvenuto sempre in provincia di Varese. Una perizia sui reperti ritrovati sul corpo e sull'auto di Lidia Macchi, però, ha portato nei mesi scorsi a scagionare Piccolomo. Negli ultimi giorni la svolta nell'inchiesta, attraverso una serie di testimonianza e riscontri, che ha portato all'arresto di stamattina.

La mamma di Lidia «Trenta anni che aspettiamo, finalmente si fa luce sull'omicidio di Lidia». È il commento di Paola Macchi, madre di Lidia, la studentessa di Legge alla Statale di Milano, uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 a Cittiglio (Varese), rilasciato durante un'intervista a Radiouno Rai.  «La procura di Milano ha lavorato in silenzio, ma ha lavorato sodo», aggiunge Paola Macchi.
Su Stefano Binda, ex compagno di liceo della vittima, finito in manette con l'accusa di omicidio, la mamma di Lidia ha detto di averlo visto poche volte in passato e che non frequentava nè la figlia nè la loro casa.

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