Impegni dimenticati/ Quei rischi prevedibili siano priorità per i comuni

di Oscar Giannino
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Lunedì 11 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:46
Le vittime di Livorno e le inondazioni stradali a Roma ci restituiscono alle amare cronache di ogni inizio d’autunno italiano, da qualche decennio a questa parte. L’Italia è esposta al rischio sismico per ragioni tettoniche, e abusi e indifferenza a criteri antisismici moltiplicano le vittime (basta paragonare, purtroppo, le decine di vittime in Messico per un sisma di intensità superiore a 8, rispetto alle centinaia in Italia per scosse molto meno toste). Ma il rischio idrogeologico italiano, che miete caduti ogni autunno, quello è tutta colpa dei criteri con cui si è costruito, interrando rii e torrenti per edificarvi in prossimità se non sopra.

La differenza, da qualche anno a questa parte, è che le precipitazioni anche in Italia risentono del cambiamento climatico in corso, e dopo estati arroventate le celle temporalesche possono concentrare in aree e intervalli temporali ristretti precipitazioni molto o del tutto anomale, alla luce delle serie storiche.

È quanto avvenuto ieri notte a Livorno: nel territorio sono caduti 260 millimetri d’acqua di cui 230 in tre ore, con punte fino a 38 millimetri in un quarto d’ora. Mentre più contenuto è stato il nubifragio che si è accanito per alcune ore a Roma: non oltre i 100 millimetri d’acqua, ma tale da allagare diverse zone della Capitale.

Con il consueto corollario: sottopassi allagati, alberi caduti, black out elettrici e traffico impazzito in aree con l’acqua arrivata a quasi mezzo metro sulle carreggiate.

Mentre ancora a Livorno si cercano dispersi, facciamo volentieri a meno di polemiche politiche. Il nostro compito è solo ricordare che ci sono enormi colpevolezze umane da sanare nell’eccesso di rischio idrogeologico italiano. E che la svolta vera sarà quando i sindaci neoeletti, di ogni colore, capiranno che occorre immediatamente rendersi consapevoli dei maggiori fattori di rischio da fronteggiare con cantieri e interventi d’emergenza. Invece di sperare che non piova, riservandosi magari poi di polemizzare con chi è venuto prima e ha trascurato i propri doveri. Tutti, li hanno trascurati: questa è l’amara verità.

Non ci siamo fatti mancare la condanna a 5 anni di detenzione per l’ex sindaco di Genova, Marta Vincenzi, per l’esondazione del torrente Fereggiano che provocò sei vittime, il 4 novembre 2011. Per omicidio colposo plurimo, aver sottovalutato gli allarmi della protezione Civile, e aver falsificato ex post la ricostruzione di quanto avvenuto per alleviare la propria responsabilità. Ma è evidente, non si può delegare alla magistratura un compito che gli amministratori locali devono essi sentire come proprio primo dovere.

Si dirà: belle parole, ma mancano i soldi. Ai soldi ci arriviamo subito. Ma guardiamoci bene allo specchio. Prima dei soldi è la consapevolezza del rischio che corriamo, a mancare. Anche a Livorno le vittime vengono dall’esondazione di tre rii, Ugiano, Rio Maggiore e Rio Ardenza, perché si è costruito con criteri che non hanno tenuto in considerazione gli effetti di bombe d’acqua di tale intensità. Quanto a Roma, non prendiamoci in giro. Lo stato di incuria di caditoie, fogne e tombini è frutto di incurie decennali. La finanza pubblica del Campidoglio e delle sue partecipate è prostrata. Ma neanche con la giunta in carica si è avuta la sensazione dell’allarme pubblico manifestato in anticipo a tutte le istituzioni, ogni qual volta la Capitale fosse colpita da bombe d’acqua se non si fosse messo mano a interventi immediati.

Sull’inadeguatezza delle risorse che spendiamo contro il rischio idrogeologico, quantitativa e qualitativa cioè relativa a quanto male spendiamo il poco che spendiamo, il più recente quadro d’insieme è stato dato quest’estate da Mauro Grassi, il direttore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche: ed è stato merito da riconoscere al governo Renzi, aver finalmente istituito a palazzo Chigi questa nuova cabina di regia nazionale.

Negli ultimi decenni il danno arrecato dalle calamità naturali all’Italia può essere stimato in circa 6-7 miliardi in media l’anno: 60-70 miliardi di danni (e vittime, purtroppo) in un decennio. A fronte dei quali lo Stato, in tutte le sue articolazioni centrali e periferiche, con manica larga includendo tutti gli interventi realizzati di cui molti assai discutibili, e comprendendo anche fonti di finanziamento europee, ha speso meno di 10 miliardi in prevenzione. Credere di poter spendere per la prevenzione in un rapporto di solo 1 a 7, rispetto ai danni che si verificano, aumenta le vittime e obbliga a spendere molto di più ex post, per l’emergenza e la ricostruzione di edifici, capannoni, infrastrutture.

Il punto essenziale non è solo l’ammontare delle risorse, ma la distorsione e la mancata valutazione degli interventi: di solito effettuata in termini tecnico-ingegneristici ma evitando ogni analisi costi-benefici di tipo economico e sociale. Si è speso, in altre parole, non solo poco, ma senza una seria valutazione dell’abbattimento del rischio. La valutazione delle priorità finiva per essere di tipo politico: e mancava persino un archivio nazionale degli interventi e del fabbisogno stimato per coefficiente di rischio. 

In pochi mesi, la struttura di missione si è trovata a recensire con Regioni e Autorità di bacino 9 mila progetti d’intervento, per oltre 27 miliardi di euro. Ma tutti con la carenza di valutazione che abbiamo sottolineato. E a fronte di quel fabbisogno da ristimare con priorità diverse, l’incremento delle risorse per la prevenzione è stato sì raddoppiato rispetto al misero mezzo miliardo a cui era sceso con il taglio anno dopo anno degli investimenti pubblici a favore della spesa corrente, ma sempre di un miliardo l’anno resta rispetto ai 6-7 di danni medi annui.

Quel che è apprezzabile è che sia stato intanto predisposto un pacchetto di linee-guida per la valutazione secondo nuovi criteri del rischio e degli interventi, confrontandosi con le Regioni e con i professionisti del settore.
Ma sono i sindaci che devono capire dal primo giorno in cui assumono la carica che, in vaste aree d’Italia, per ragioni orografiche e di bacino o per la folle urbanizzazione attuata, questo rischio deve essere valutato dalle loro giunte come una delle minacce più serie da affrontare. Dando mano alla grancassa pubblica se le risorse mancano, e impegnandosi a stilare in tempi rapidissimi liste di interventi di prima emergenza secondo i nuovi criteri di costo-beneficio.

Conta molto più questo, per ridurre danni e vittime nel medio-lungo periodo, di ogni polemica retrospettiva a Livorno contro gli allarmi della protezione civile rossi o arancioni, o contro le precedenti giunte romane. Altrimenti, continueremo ogni autunno a piangere morti e devastazioni.
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