Pamela, i genitori: forse qualcuno le ha fatto del male nella comunità

Pamela Mastropietro
di Rosalba Emiliozzi
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Mercoledì 21 Febbraio 2018, 17:22 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 17:35
Qualcosa è successo all'interno della comunità delle Marche dove Pamela era ricoverata. Qualcosa che «la faceva vomitare da giorni», la faceva stare male tanto da costringerla a fuggire. Ne sono convinti i genitori di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa a Macerata e il cui corpo è stato smembrato e abbandonato all'interno in due trolley il 30 gennaio scorso nelle campagne di Pollenza, in provincia di Macerata. «Pamela - ha raccontato il padre Stefano Mastropietro  - aveva un disturbo della personalità, la droga era una conseguenza. Per questo non ci spieghiamo come possa essersi allontanata dalla comunità Pars».

L'ultima volta che i genitori sono andati a trovare Pamela nella struttura di Corridonia, «stava bene ed era contenta del suo incarico di responsabile della lavanderia all'interno della comunità. Ma dal 25 dicembre la ragazza ha cominciato a vomitare - ha spiegato la madre Alessandra Verni - ma a me lo hanno detto soltanto il 15 gennaio». «Quando fai i bagagli e lasci un posto - ha aggiunto il padre - vuol dire che hai avuto un problema». I genitori pensano dal più piccolo, tipo il razionamento delle sigarette (prassi molto diffusa nella comunità), al più grande: «Temiamo che qualcuno le abbia fatto qualcosa di male lì dentro» ha detto la madre.

I genitori hanno sempre escluso che Pamela si possa essere bucata, aveva la fobia delle siringhe tanto che dovevano tenerla in due per fare le analisi. «La sostanza stupefacente, Pamela, non l'ha mai assunta per endovena, la inalava o la fumava. Non ha mai usato una siringa: questo è un dato di fatto, una certezza. Per questo escludiamo che possa essere morta per overdose» ha ribadito il padre. L'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia e zio di Pamela, ha sostenuto che qualcun altro potrebbe averle fatto l'iniezione. Secondo la madre di Pamela, invece, «può essere stato il nigeriano ad averle detto comprami questa siringa, mi serve. Lui è padre, ha una bambina piccola, non so come l'abbia ingannata, magari ha visto il fiocco rosa sulla porta e si è intenerita». 

Per loro, Pamela, era una ragazza ingenua che si fidava troppo degli altri, che voleva fare la criminologa e non l'estetista ed amava disegnare. E a Innocent Oseghale, uno dei tre nigeriani in carcere per l'omicidio di Pamela che ieri, tramite il suo legale ha espresso il desiderio di riabbracciare la figlia e la compagna, i genitori di Pamela rispondono: «Anche noi vorremmo riabbracciare nostra figlia». E se fosse successo a tua figlia? Ha chiesto al nigeriano Alessandra Verni accusandolo di essere complice come gli altri visto che non è intervenuto. «Mia figlia - dicono - deve avere giustizia». 

Intanto a Macerata è stata organizzata una preghiera per Pamela. Domenica 25 febbraio alle 14 al teatro Don Bosco di Macerata, accanto alla stazione ferroviara, si terrà un momento di preghiera in momeria di Pamela Mastropietro, la 18enne romana fuggita dalla comunità di recupero Pars di Corridonia, uccisa, fatta a pezzi e riposta in due trolley poi abbandanati nella campagna di Pollenza, a 12 chilometri da Macerata. A organizzare è la comunità nigerania in collaborazione con tutte le rappresentanze cristiane di Macerata e provincia in segno di solidarietà e vicinanza alla famiglia della ragazza di Roma e per condannare, sempre con maggiore forza, l'uccisione e lo scempio sul corpo della povera ragazza: in carcere ci sono tre nigeriani arrestati mentre un quarto connazionale è indagato in stato di libertà. Sono accusati di omicidio, vilipendio e soppressione di cadavere. 
Il momento di preghiera riunisce insieme più religioni (cattolici, evangelisti, anglicani, solo per citarme qualcuna) e le organizzazioni Acsim e Anolf.
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