Serve un piano di salute pubblica contro il degrado

di Paolo Graldi
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Venerdì 15 Luglio 2016, 00:33
Chissà come l’avrebbe raccontata il grande Gianni Rodari in una delle sue “Filastrocche al telefono” questa storia dei topi: si sono talmente impadroniti della città, ormai, che non scappano più.
Ma anzi, rabbiosamente (avverbio denso di rischi autentici), si fanno largo tra la gente. E mordono. Il commesso viaggiatore delle favole avrebbe detto alla sua bambina di rinchiudersi in casa, di girare con una scopa, di chiamare l’ufficio di igiene e, soprattutto di avere paura. Perché c’è da avere paura.

Al filmatino con lo smartphone dei ragazzini di Tor Bella Monaca che mostrava una colonia di ratti brutti e grossi, velocissimi nel rintanarsi ad ogni avvisaglia di pericolo, assediare i cassonetti dell’immondizia, una immensa riserva di cibo fresco estratto anche dai sacchi posati a terra già aperti dal becco dei gabbiani, anch’essi famelici e senza scrupoli. A quel filmatino che ha fatto il giro della rete ha risposto con immediatezza anche il neo sindaco Virginia Raggi, che s’è fiondata in perlustrazione sul luogo. Era inevitabile che, con milioni e milioni di esemplari sparsi ovunque e sguazzanti sulle rive del Tevere si moltiplicassero i casi, gli avvistamenti a tutte le ore, in ogni angolo, preferibilmente nei pressi dei ristoranti dai quali, a notte, si calano sacchi con ristori freschi di giornata.
Ora siamo alle aggressioni vere e proprie. Valentina Fatuzzo, una ragazza che abita a Monteverde, è la prima vittima dichiarata della scandalosa situazione che oppone uomini e topi e, tra poco, topi a uomini.

Con un gruppetto di amici la mattina del 7 luglio, col tempo libero che regala la fine della scuola, chiacchierava su una panchina di piazza san Cosimato, a due passi da piazza santa Maria, nel cuore di Trastevere. Racconta che a un certo punto un topo ha cominciato a scalare la sua gamba, quasi fosse il tronco di un albero, il pezzo d’un tavolo, che in quel caso non si sarebbe meravigliato nessuno.
 
Un gesto repentino, di paura e di rabbia: va via, schifoso. Il ratto se ne è andato ma prima di scappare si è anche ribellato e ha morso la ragazza. La gente intorno a lei, pronta a darle conforto e tuttavia messa in allarme perché in quella piazza giocano anche molti bambini, le ha consigliato di andare a farsi curare al pronto soccorso.
I topi, si sa, portano gravissime malattie e un morso, una ferita infetta è davvero pericolosa. E da quel momento, per Valentina, è cominciata una avventura di rimpalli indicibili. Alla guardia medica le hanno disinfettato la ferita raccomandandole di di assumere un antibiotico e, entro le successive ventiquattro ore, di recarsi al centro antirabbico della Sapienza.

Ma il padiglione non viene trovato. Non esiste. Un medico amico la indirizza all’Umberto I, il Policlinico. Centro di di igiene e delle malattie tropicali. Niente antirabbica ma l’antitetanica, le spiegano. Le prescrivono un farmaco che è difficile reperire, forse anche perché costa parecchio forse perché si tratta di un emoderivato…
Valentina si sta curando ma questa storia di uomini e topi, per piccola, di ordinaria quotidianità, segnala un disagio diffuso.

Qui si richiede un piano, una strategia, un’analisi aggiornata del fenomeno, un consesso di esperti che siano in grado di progettare una reazione a larga scala e, al tempo stesso, imporre ai cittadini comportamenti adeguati.
Bisogna poterlo ripetere: ci sono comportamenti davvero sconsiderati un po’ da parte di tutti che alimentano su larga scala l’allargarsi di rischi seri per la igiene pubblica.

Dicono, dopo i topi i serpenti e con i serpenti i cinghiali, anch’essi attirati fin nei giardini e in quartieri densamente abitati (una volta accadeva solo in campagna o in periferia) per non dire dell’affollarsi in cielo e terra dei gabbiani, solenni e calmi quando volano, aggressivi e furiosi quando li si contrasta per allontanarli.
Questi sono tutti segni di un degrado crescente, di un ambiente che ha perso da tempo la sua naturale bellezza per mostrare le ferite di una incuria progressiva, devastante. Se tutto questo non si configura come emergenza non sapremmo come chiamarla.

Ieri una foltissima delegazione capeggiata dal sindaco Raggi, tra una lite e l’altra interna al Movimento salito in Campidoglio, ha preso il via con dispiegamento mediatico la ripulitura delle rive del Tevere, cominciando là dove il giovane studente americano è stato derubato e poi scaraventato nell’acqua dove è annegato.
L’episodio ha mostrato ciò che da sempre è sotto gli occhi di tutti e contro il quale non è stato quasi mai fatto nulla: bivacchi maleodoranti di gente che vive sotto i ponti, protetta dai cani, i punkkabestia qualcuno li chiama, mentre a noi dicono solo che sono casi borderline che hanno urgente bisogno di aiuto, un aiuto che se non basta offrirlo va imposto con altre maniere.

È sperabile che l’opera di bonifica si dispieghi con determinazione e non si dissolva insieme con il lampo dei flash. Che divenga regola, per applicare la quale siano mobilitate tutte le forze necessarie e anche di più. La città lancia grida di dolore e di rabbia. La pazienza è esaurita, servono fatti estesi, decisi e decisivi.
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