La strategia del teatrino per eliminare gli avversari

di Carlo Nordio
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Martedì 14 Novembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 07:57
Due cose hanno in comune la corruzione e le molestie sessuali. La prima, che questi fatti avvengono generalmente senza testimoni e senza tracce, e quindi il sospettato nega sempre, come si dice, l’addebito. La seconda è che, quando queste tracce esistono, e l’autore è inchiodato dalla loro evidenza, allora cambia difesa. La tangente c’è stata, ma non l’ho chiesta, mi è stata offerta. Ovvero: l’approccio fisico c’è stato, ma era tra consenzienti. Non ci vuol molto a capire quanto sia difficile per il giudice ricostruire la verità.

Se fino a poco tempo fa la corruzione sembrava occupare le testate e preoccupare l’opinione pubblica, da qualche giorno questo allarmante privilegio spetta alle violazione delle più intime libertà. L’America ha dato il via con il caso di Kevin Spacey, seguito a ruota da varie rievocazioni, formulate in altrettanti modi, di aggressioni e violenze. Si noti che le vittime non sono necessariamente donne: ci sono stati maschi adulti, e purtroppo anche bambini. Ora l’onda d’urto è arrivata anche in Italia. Le conseguenze pratiche sono state, fino ad ora, meno clamorose: senza richieste di colossali risarcimenti e senza dover rifare, con attori più presentabili, scene di film già finiti. Tuttavia, ieri, la Warner ha eliminato dal sito, salvo poi reinserirlo, il nome di Fausto Brizzi, regista di “Poveri ma ricchissimi”, di prossima programmazione.

Brizzi, come tutti sanno, è stato additato, in una trasmissione televisiva, come molestatore sessuale. Lui ha proclamato la sua innocenza , ma evidentemente i produttori non vogliono correre rischi. Così, la sua immagine e la sua carriera sono state vulnerate, se non addirittura compromesse.

C’è un singolare parallelismo tra questa prevenzione cautelativa nel frizzante ambiente dello spettacolo e quella, altrettanto fatale, del più sussiegoso mondo politico: che in entrambi i settori, indipendentemente da una pronuncia giudiziaria e senza nemmeno un’incriminazione formale, l’indagato, o il sospettato, deve fare il fatidico “passo indietro”, in attesa di chiarimenti e accertamenti futuri. Anzi. A differenza del ministro o del candidato, ai quali si chiede di ritirarsi dall’ufficio o dalla competizione sulla base di una generica iscrizione nel registro degli indagati, qui non si pretende nemmeno quella. Una storia raccontata in tivvù, ed ecco che il nome di un regista scompare dal cartellone, come i gerarchi caduti in disgrazia sparivano dall’Enciclopedia dell’Unione Sovietica.

Noi naturalmente non sappiamo se queste storie siano vere oppure no. Trattandosi di fatti gravi, saranno accertati in altra sede, ammesso che il tempo trascorso non ne determini l’impossibilità. Tuttavia ci piacerebbe che questi argomenti fossero affrontati con razionalità, senza le barricate di pregiudizi che oppongono chi accredita alle vittime una affidabilità di principio, e chi le sospetta di interessata pubblicità. Poiché anni di esperienza giudiziaria ci insegnano che le molestie reali sono quasi pari a quelle inventate, sarebbe auspicabile un approccio meno emotivo a questi eventi tanto odiosi nel compimento quanto difficili nella ricostruzione. 

Un‘ultima cosa. La strumentalizzazione della giustizia, per eliminare l’avversario, o l’amico, ha già prodotto danni incalcolabili. La rimozione cautelativa dell’indagato dalle cariche pubbliche ha snaturato e imbastardito la leale competizione degli ultimi vent’anni, soprattutto quando, a distanza di tempo, è emersa la totale innocenza degli inquisiti. Ora la stessa cosa commedia rischia di ripetersi nel mondo del cinema e del teatro, ed estendesi in ogni settore dove la possibile liberazione di un posto ecciti le aspettative di uno scalpitante e malizioso concorrente. E questo senza nemmeno l’intervento della magistratura, ma sulla base di semplici rievocazioni in uno studio televisivo, dove, con poco rischio e molta audience, si deciderà il destino di un attore, e magari di un ministro e di un governo. Insomma, dal teatrino della politica, alla politica del teatrino.
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