La solidarietà/ L’agonia dell’Abruzzo che ci chiede aiuto

di Dacia Maraini
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Venerdì 20 Gennaio 2017, 00:31
Siamo diventati tutti testimoni involontari di sciagure altrui. Anche volendo non si può sfuggire allo strazio a cui ci chiamano le immagini che scorrono sullo schermo acceso.

Montagne di neve che ingombrano e ostruiscono le strade, colline bianche che si appoggiano alle porte lasciando la gente intrappolata in casa senza acqua e senza luce; strade trasformate in torrenti di fango; un albergo invaso da una slavina che ha spaccato finestre, sfondato porte, invaso corridoi e camere; bambini dispersi, gente infagottata che nella notte va cercando i propri cari; sciabolate di luce delle auto di pronto soccorso che tagliano il buio tempestato di fiocchi bianchi.

L’IMPOTENZA E LA PIETÀ
Siamo testimoni di tanto strazio ma siamo testimoni impotenti. Non possiamo fare niente salvo provare pietà. Ecco, ma forse questo è già qualcosa. Se non si mette in moto l’immaginazione che ci fa capire il dolore altrui, se non proviamo a identificarci con chi sta male, il principio della solidarietà rimane sordo e muto. Senza un sentimento di identificazione, e quindi di pietà e quindi di indignazione, rimaniamo chiusi nelle nostre case riscaldate e proviamo solo sollievo per non essere lì sotto quella neve vorticosa, senza casa e senza acqua.
Qui in questo bellissimo cuore montagnoso dell’Italia, in questo Abruzzo disgraziato che ha subito centinaia di terremoti disastrosi, ogni volta ci si sorprende come se fosse la prima volta. Ma possibile che ad ogni movimento tellurico qui le case si sbriciolino, le chiese vadano in frantumi e la gente rimanga schiacciata da travi e pareti? Che pena vedere quelle povere persone che vagano per la strada innevata, con la testa nuda e scarmigliata, le spalle difese da una vecchia coperta! Che pena assistere all’agonia di tante mucche da latte, di tanti agnelli che non sanno dove andare dopo avere perso la stalla in cui abitavano! 
I lupi scendono dalle cime, non aggrediscono l’uomo, anche perché sono stati quasi del tutti sterminati e hanno terrore dell’uomo, sanno che è munito di fucile. Ma puntano sulle bestie indifese e certamente molte moriranno azzannate. Eppure i veri lupi siamo noi esseri umani, che ci azzanniamo a vicenda, per volgari ragioni di competizione politica, sociale, economica. La solidarietà fa fatica a esprimersi in tutta la sua potenza. Personalmente gli italiani, si sa, sono “brava gente”, pronti a rimboccarsi le maniche e dare una mano a disgrazia avvenuta. Ma qui ci vuole un progetto generale, una rifondazione culturale ed etica, per cui il l’interesse del paese diventi primario ed essenziale.
Proprio oggi ho letto che l’evasione fiscale nel nostro paese raggiunge i 110 miliardi l’anno. Quante cose si potrebbero fare, in prevenzione, in investimenti per i giovani, per la ricerca, con quei miliardi! Ma per farlo bisogna recuperare un senso della comunità che oggi sembra svanito nel nulla, ci vogliono dei progetti per il futuro comune, mentre il solo futuro sembra riguardare la persona e al massimo la sua famiglia. Un futuro comune ha bisogno di idee e di creatività, ma ha bisogno soprattutto di slancio e voglia di cambiare per il meglio. Una ritrovata onestà e la voglia di contribuire al bene comune. 

ALLUNGARE LA MANO
In questi giorni direi che la neve si fa più nemica che amica, anche se gli sciatori esultano e vanno in giro impettiti nelle loro tute colorate. Difficile conciliare il dolore con la gioia, difficile rivolgere un pensiero a chi soffre di quella stessa neve che rende felici gli sportivi. Ma la solidarietà non richiede sacrificio. Non c’è bisogno di coprirsi i capelli di cenere per dimostrare che si è capita la sofferenza. Basta poco: anche solo guardarli come fratelli sfortunati. Basta non chiudere loro la porta. Basta insistere, ma tutti insieme, perché le amministrazioni locali si facciano più sensibili e fattive. Basta allungare una mano e stringere quella che ti chiede sostegno. 
 
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