L'intervista/ Antonio Tajani: «Serve uno stop alle piccole patrie»

L'intervista/ Antonio Tajani: «Serve uno stop alle piccole patrie»
di Mario Ajello
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Domenica 22 Ottobre 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 07:52
Presidente Tajani, la situazione spagnola si complica sempre di più. Guai a esagerare con l’autonomismo?
«Qui non si tratta di autonomismo. Ma di una proclamazione d’indipendenza in spregio dello Stato di diritto e contro la Costituzione spagnola, che è frutto di un referendum illegale promosso in violazione delle regole dell’autonomia catalana. Ciò provoca un vulnus democratico. Anche perché i rappresentanti del referendum sono stati una minoranza rispetto alla popolazione catalana».

L’Europa deve temere la moltiplicazione delle piccole patrie?
«Certo che la deve temere. Perciò nessuno in Europa intende riconoscere la Catalogna come Stato indipendente. Anche Theresa May, in piena Brexit, ha detto che il Regno Unito non riconoscerà mai la Catalogna. Al di là di alcune scene che non ci sono piaciute nel giorno del referendum catalano, la Spagna è una democrazia che è stata costruita grazie all’impegno di milioni di spagnoli e in particolare grazie all’impegno di tre grandi personaggi».

Il re Juan Carlos?
«Uno è proprio lui. Con il tentato golpe in corso da parte del colonnello Tejero nel 1981, il sovrano andó in televisione a difendere la democrazia spagnola. E altri due uomini lo hanno aiutato nella costruzione della democrazia, uno di destra e uno di sinistra. Il cristiano democratico Adolfo Soares e il socialista Felipe Gonzalez».

Vista dall’Italia, la vicenda catalana è inquietante. Non è che, con i referendum autonomisti - e oggi se ne terranno due, in Lombardia e in Veneto - si sa da dove si comincia ma non si sa dove si va a finire?
«Innanzitutto, questi due referendum sono legittimi, mentre quello catalano non lo era. E poi il referendum catalano era per l’indipendenza, mentre quelli di Lombardia e Veneto sono consultivi e per chiedere più autonomie. Guai, comunque, a interpretare questi due referendum odierni come l’inizio di una stagione indipendentista. Guardiamo la Spagna. E’ per la sua storia uno Stato unitario, con tante autonomie, con tante popolazioni diverse che parlano anche lingue diverse. Ma sono uno Stato unitario. E come ho detto anche nella mia lectio magistralis all’Abi: l’unione della patria e anche l’unione della più grande patria europea».

I rischi di disgregazione in atto dunque la preoccupano?
«Non è ammainando la bandiera nazionale che si rinforza la bandiera europea. Noi siamo europei perché siamo italiani. L’Europa, che in sessant’anni ha garantito pace, prosperità, libero mercato e libera circolazione delle persone, ci ha insegnato che la costruzione di muri porta soltanto iatture. Noi italiani non dobbiamo dimenticare qual è la nostra identità».

Questo scarso vincolo identitario viene sentito più al Nord che al Sud e nuoce al senso di solidarietà nazionale?
«La nostra storia è quella di milioni di persone che con il loro sacrificio, durante il Risorgimento e nella prima guerra mondiale, hanno costruito l’unità nazionale. Siamo diventati una comunità perché nelle trincee della Grande Guerra si sono battuti insieme uomini nati al Nord e uomini nati al Sud, ma erano tutti italiani. E oggi non dobbiamo aprire altri conflitti interni, dopo che l’Europa ha chiuso la stagione delle guerre che hanno insanguinato il nostro continente nel secolo passato».

E qual è il giusto equilibrio da tenere?
«L’altro giorno ho ricevuto il presidente della provincia autonoma di Bolzano insieme al presidente del Nord Tirolo.

Entrambi mi hanno detto che, grazie all’Europa, ci può essere dialogo e che la parola autonomia - cioè il giusto riconoscimento di chi è di madre lingua tedesca - non significa indipendentismo. Le piccole patrie sono un retaggio del passato e non tutelano gli interessi dei cittadini».

L’autonomia, anche quella richiesta tramite i referendum di Lombardia e Veneto non può significare anche egoismo e mettere in discussione la parità di accesso degli italiani agli stessi servizi e alle medesime opportunità?
«Il giusto decentramento amministrativo, come antidoto allo Stato centralista, deve sempre essere una garanzia per i cittadini dell’intero Paese e mai uno strumento di divisione politica, economica e sociale».

Insomma, questi referendum sono un rischio o no?
«A mio parere, è giunto il momento di riscoprire la nostra identità e i nostri valori. E la nostra identità è quella della nostra città, della nostra regione, della nostra Italia e della nostra Europa. Nessuna deve andare in contrasto con l’altra ma tutte devono rinforzare il nostro modello di civiltà».

E tuttavia, si sente riparlare di patria padana e di patria veneta. Anacronismi?
«La patria è l’Italia. Ma la patria e anche l’Europa, sintesi di 3000 anni di civiltà».
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