Oggi la May a Firenze/ Dalla Brexit alla Catalogna solo andata

di Marco Gervasoni
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Venerdì 22 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10:27
Theresa May è spesso in ritardo sugli eventi, o è sfortunata. In entrambi i casi, un limite per un capo politico, come ci insegna Machiavelli, uno dei simboli di Firenze, città in cui oggi il premier britannico terrà il suo discorso sulla Brexit. La premier dovrebbe annunciare una proposta: un periodo di transizione di due anni. 
Due anni in cui, dopo l’uscita del Regno Unito dalla Ue nel 2019, Londra continuerà a versare la sua quota e a restare all’interno del mercato comune. Una lenta, lentissima Brexit, in un discorso pensato per un’Europa pacificata. Sennonché nelle ultime ore sul continente è ritornato il vento gelido.

Madrid fa arrestare i funzionari catalani, le piazze a Barcellona si riempiono contro Rajoy mentre nel cuore dell’Impero, la Germania, i sondaggi spingono gli euroscettici di sinistra e di destra, soprattutto quelli dell’Afd; e anche nelle terre merkeliane soffia l’inquietudine. Per di più, le intenzioni della May hanno irritato i conservatori pro «Brexit dura» del ministro degli Esteri Johnson, che ha minacciato di dimettersi. A capo di un partito e di un governo in brandelli, la May che si presenta oggi nella città di Machiavelli è perciò tutt’altro che un principe in sella, ed è difficile che tragga vantaggio da questo disordine. La premier è reduce da un discorso al Palazzo di Vetro non molto diverso da quello recitato da Trump. Così come l’Onu «non è il mondo», allo stesso modo la UE non è l’Europa, dirà probabilmente May: l’Europa è cultura, è storia secolare di commerci, è molto altro; ecco perché è stata scelta Firenze, capitale di quest’Europa ideale. Affermazioni che inorgogliscono noi italiani, la cui cultura è all’origine dell’Europa: siamo un «paese fondatore», non solo perché nel 1957 c’eravamo anche noi. Ma poi sopraggiungono i dubbi: che senso ha per May imbracciare la Brexit e poi calare in Italia a rivendicare un legame con l’Europa ideale, ma non con la comunità politica?

Che significato ha, oggi, dirsi a favore dell’Europa ma non di questa Europa, cioè della Ue? Tanto più che, con la Brexit, il Regno Unito ha generato un effetto domino, di cui per ora è figlia Barcellona, ma che potrebbe dilagare in un contagio. Se le argomentazioni degli indipendentisti catalani sono le medesime dei favorevoli alla Brexit, simili sono infatti anche i risultati (seminare confusione nella UE), e identiche le prospettive; finire fuori dalla Comunità. Come scriveva ieri il Financial Times, il Regno Unito ha omaggiato i Paesi della Ue di un grande dono: dimostrando che uscirvi crea più problemi che restarvi, e che il mostro sta divorando i propri figli. Un memento alla Catalogna, alle Fiandre e anche agli «indipendentisti» di casa nostra: le azioni umane, soprattutto se non meditate, producono effetti indesiderati, e spesso disastrosi. Forse lo stanno già capendo anche a Barcellona, dove la Generalitat ammette che l’intervento di Madrid, il sequestro delle schede, ha «alterato» il referendum: un mezzo passo indietro? In ogni caso un segno di lucidità, che dovrebbe quindi sconsigliare ai sostenitori dei referendum «autonomisti » in Lombardia e in Veneto di cavalcare l’onda catalana con l’ambiguità - almeno a Barcellona hanno il coraggio di prendersi le responsabilità, a cominciare da quella di sobbarcarsi una parte del debito pubblico in caso di secessione.

Per questo è bene che l’Italia sappia rispondere al segnale lanciatole da May venendo nel nostro Paese. E’ proficuo, nei confronti della Brexit, per Roma ripetere le stesse proposte di Francia e Germania? Non sarebbe meglio proporre una nostra soluzione autonoma, che non sia l’approccio punitivo di Macron e di Merkel? Su questo il governo italiano non è mai stato chiaro, mentre una nostra maggiore autonomia dall’asse franco-tedesco ci permetterebbe di stringere con Londra accordi più favorevoli nei confronti, ad esempio, dei nostri connazionali che vivono e lavorano lì. Non sprechiamo un’occasione: e non deleghiamo Parigi e Berlino a parlare in nostra vece. Potremmo presto pentircene.
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