Guerra all’Isis/ Perché Al Sisi non può perdere l’alleato italiano

di Alessandro Orsini
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- Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 00:05
Al Sisi teme di cadere per mano dei nemici interni e ha un enorme interesse ad avere ottimi rapporti con i Paesi vicini, affinché questi riducano i pericoli, anziché moltiplicarli. Detto più chiaramente, al Sisi non trarrebbe alcun vantaggio a deteriorare i rapporti con l’Italia e tutto ciò che ha fatto verso il nostro Paese, almeno finora, è stato animato da una sorta di “ossessione dell’amicizia”, confermata il 30 agosto 2015, quando Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, si recò al Cairo, sospinto dalla scoperta del più grande giacimento di gas naturale mai trovato nel Mediterraneo, nelle acque territoriali dell’Egitto. 

Gioioso di stringere accordi commerciali con l’Italia, al Sisi riservò un’ottima accoglienza a Descalzi, ricambiando le parole con cui Matteo Renzi, il 13 marzo 2015, aveva espresso l’interesse dell’Italia in favore della stabilizzazione dell’Egitto. Ne ricavo che, se Giulio Regeni è stato ucciso dai servizi segreti egiziani - e se questi non sono un gruppo di “disadattati politici” che opera senza rendersi conto di ciò che fa - l’orrenda uccisione del nostro connazionale ha lo scopo di compromettere le relazioni dell’Egitto con l’Italia per danneggiare al Sisi. 

Se così fosse, è davvero difficile che gli attentatori riescano a raggiungere il proprio intento, almeno per tre motivi.
Il primo è che al Sisi non può permettersi di inimicarsi un Paese importante come l’Italia, dal momento che ha pessimi rapporti con Erdogan, il quale era in ottimi rapporti con Morsi che si trova in carcere con una condanna a morte, emessa nel giugno 2015. Quando al Sisi realizzò il colpo di Stato contro Morsi, Erdogan chiese al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di colpirlo con le sanzioni, dopo averlo definito «un tiranno illegittimo». Al Sisi ricambiò generosamente, operando contro la richiesta della Turchia di ottenere un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. I due hanno poi scaricato le loro tensioni in Libia. La Turchia condannò i bombardamenti aerei che l’Egitto condusse contro le postazioni dell’Isis, a Derna, il 16 febbraio 2015 ed è certo che al Sisi si prese una bella soddisfazione quando espulse l’ambasciatore turco. 

La Turchia è schierata con il governo di Tripoli mentre l’Egitto sostiene il governo di Tobruk e questo aiuta a comprendere come mai due moncherini protostatuali, come Tobruk e Tripoli, abbiano potuto tenere sotto scacco tutta l’Europa, Stati Uniti compresi, arrivando a far saltare, per ben sette volte, gli accordi proposti da Bernardino Leon, in favore di un governo di unità nazionale che unisca le forze per combattere contro l’Isis.

In sintesi, al Sisi non resisterebbe all’ostilità congiunta di Turchia e Italia. Il secondo motivo per cui è molto difficile che gli assassini di Regeni riescano a danneggiare le relazioni tra Italia ed Egitto è la certezza che l’Italia avrà il ruolo di Paese guida in tutto quello che avverrà in Libia, nei mesi a venire. Non esiste omicidio politico che possa far cambiare idea a Stati Uniti, Francia e Inghilterra, che hanno già espresso la loro fiducia verso il nostro Paese. 
Il che aiuta a comprendere, ancor meglio, le ragioni di quella “ossessione dell’amicizia” di al Sisi verso l’Italia, intesa a costruire un asse Tripoli-Roma-Cairo che in prospettiva dovrebbe accrescere la stabilità del suo governo.
La terza ragione che rende difficile immaginare che l’omicidio di Regeni possa danneggiare seriamente le relazioni tra l’Italia e l’Egitto è che la lotta contro l’Isis in Libia è, in questo momento, un interesse vitale per Stati Uniti, Francia e Inghilterra che interverrebbero, diplomaticamente, per ridurre i rischi di uno strappo tra il governo di Renzi e quello di al Sisi, obbligati a rimanere uniti, in funzione anti-Isis. 
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