Philippe, l'ex socialista che fece a pugni con Sarkò

Philippe, l'ex socialista che fece a pugni con Sarkò
di Francesca Pierantozzi
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Martedì 16 Maggio 2017, 08:55 - Ultimo aggiornamento: 20:18

PARIGI Se non ci fosse stato Edouard Philippe, Emmanuel Macron avrebbe dovuto inventarlo. Difficile trovare in natura un miglior premier per il neo presidente: di destra sì, ma la destra gollista e sociale volentieri limitrofa della sinistra, politico di professione sì, ma politico sul campo, sindaco di Le Havre, nonni comunisti, genitori professori di francese, tedesco quasi madrelingua imparato a Bonn dove ha passato l'adolescenza, sportivo anche, ma non il jogging parigino degli aspiranti maratoneti, bensì la boxe dei duri di Normandia, «violentemente moderati, terribilmente conquistatori», (parole sue di ieri), scrittore di romanzi ma anche giurista.

Insomma, perfetto Edouard Philippe, che a 46 anni diventa primo ministro di Francia senza mai essere stato ministro, né sottosegretario. In compenso: ama Bruce Springsteen (canzone preferita: The River), una volta ha quasi fatto a pugni con Sarkozy («è virulento e vivace e anche io»), per amore della moglie Esther (nota giurista, hanno tre figli che crescono senza TV) è capace di nuotare nell'acqua della Manica a 16 gradi.


FUORI DAGLI SCHEMI
«Sono un uomo di destra» ha detto ieri prendendo le consegne di palazzo Matignon da Bernard Cazenueve. Utile ricordarlo visti i tempi di ricomposizione politica. In realtà, i natali lo avrebbero naturalmente destinato alla gauche (nonno portuale sindacalizzato, bisnonno primo tesserato comunista di Le Havre), ma Edouard Philippe è da subito insofferente agli schemi. Innanzitutto giura a se stesso di non diventare insegnante (come mamma, papà e sorella) e dopo la scuola (pubblica) a Le Havre e poi a Bonn, dove il padre va a fare il preside del Liceo Francese, si iscrive a Science Po.

Qui in effetti cede alla sinistra: membro dell'associazione rocardiana degli studenti, prende la tessera del partito socialista, soprattutto per restare vicino a Michel Rocard e alla sua deuxième gauche. Ma quando Mitterrand licenzia Rocard, lui strappa la tessera: «Quello che ho visto, non mi è piaciuto».

Passa poi all'Ena, la Scuola di Amministrazione che sei anni dopo frequenterà anche Macron (e i tre quarti della classe politica di Francia), comincia a lavorare al Consiglio di Stato e, nel 1995, con l'elezione di Chirac, si converte alla destra. Seguono i due incontri più importanti della sua vita politica: Antoine Rufenacht, ex sindaco conservatore di Le Havre, e soprattutto Alain Juppé, il suo vero padrino (Il Padrino è anche il suo film preferito, dichiara di averlo visto «più di cinquanta volte»). Di Juppé accompagna gli alti e i bassi: gli è accanto nel 2002 alla fondazione dell'Ump, il nuovo partito neogollista, poi abbandona la politica nel 2004 quando Juppé sconta una condanna di ineleggibilità per l'affare degli impieghi fittizi del comune di Parigi, nel 2007 lo segue al ministero dell'Ambiente.

LE TAPPE
Lavora nel privato (avvocato in uno studio legale, poi nel gruppo Areva) quindi si lancia ala conquista di Le Havre: eletto nel 2010, viene rieletto trionfalmente al primo turno nel 2014. Nel 2016 riparte al fianco di Juppé, e diventa il suo portavoce nella campagna per le primarie della destra. Vince Fillon: Philippe entra nella sua squadra per uscirne tra i primi quando il candidato della destra alle presidenziali è travolto dagli scandali.

Con Macron si conoscono da tempo, da una cena nel 2011. Di lui non ha sempre parlato bene: «Un tribuno adepto di un populismo disinvolto che non si fa carico di niente ma promette tutto con la foga di un conquistatore giovanile e il cinismo di una vecchia volpe» ha scritto in una tribuna che Libération (quotidiano della gauche) gli ha riservato per commentare la campagna delle presidenziali. Ma, in tempi non sospetti - settembre 2016 -, aveva anche dichiarato che Macron gli piaceva «a titolo personale e stimava molto la sua intelligenza». Di più: «Pensiamo al 90 per cento le stesse cose».
 

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