Presidenziali/ L’incognita del terzo incomodo

di Massimo Teodori
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Mercoledì 28 Settembre 2016, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 08:10
Mentre discutiamo l’effetto che avrà nella corsa alla Casa Bianca il primo dibattito televisivo tra Hillary Clinton e Donald Trump, rischia di sfuggirci l’influenza dei cosiddetti “terzi candidati” – il libertario Gary Johnson e la verde Jill Stein – sulla vittoria di uno dei due candidati principali. Questa volta, invece, è probabile che i terzi incomodi peseranno sul risultato finale. È vero che il sistema bipartitico degli Stati Uniti è ben saldo: da centocinquant’anni sono eletti presidenti solo i candidati democratici o repubblicani. 

Ma i “terzi candidati” hanno spesso insidiato l’egemonia dell’asino e dell’elefante che simboleggiano i partiti storici. Chiunque voglia infatti concorrere alla Presidenza, al Congresso o ai Governatorati deve passare attraverso la selezione interna ai due partiti tradizionali come ha fatto Bernie Sanders che nasce da senatore indipendente. 
Ma una cosa è vincere la carica istituzionale, e un’altra è influire sulla vittoria altrui. I candidati dei ”terzi partiti” raccolgono generalmente un piccolo gruzzolo di voti (diciamo dall’1 al 3 per cento) che, però, in alcuni casi risulta decisivo nel danneggiare il candidato principale politicamente più vicino: il terzo candidato di destra fa perdere il repubblicano e, viceversa, il candidato minore di sinistra fa perdere il democratico.

Le recenti presidenziali sono ricche di esempi. Nel 1968 il candidato democratico segregazionista del Sud, George Wallace, con 10 milioni di voti popolari (e 46 voti elettorali) determinò la vittoria di Nixon che ebbe gli stessi voti del democratico Humphrey. Nel 1992 il candidato indipendente di destra, Ross Perot, con venti milioni di voti determinò la vittoria del democratico Bill Clinton che ottenne 45 milioni di voti contro George H.W. Bush padre che si fermò a 39 milioni. Otto anni più tardi accadde il contrario. Il repubblicano George W. Bush vinse con 50,4 milioni di voti (e 271 voti elettorali) contro i 51 milioni di voti (e 266 voti elettorali) del democratico Al Gore perché il verde Ralph Nader gli sottrasse 2,8 milioni di voti in alcuni Stati decisivi.

Quest’anno l’incidenza dei terzi candidati potrebbe essere ancora più significativa perché sia Clinton che Trump sono sgraditi alla maggioranza degli americani inclusi molti elettori dei rispettivi partiti. I sondaggi danno al candidato del partito libertario quasi il 10% delle preferenze e alla verde intorno al 3-4%, cifre che rappresentano delle percentuali senza precedenti ad eccezione della performance di Ross Perot venticinque anni fa. 
Al momento non si può dire a quale dei maggiori candidati questa tendenza di massa verso i “terzi” che potrebbe riguardare circa venticinque milioni di elettori. È probabile che le intenzioni di voto per i verdi provengano da gruppi di democratici scontenti, e che le opzioni per il libertario siano per lo più dei repubblicani anti-Trump anche se possono includere fasce di giovani progressisti sensibili ai diritti civili. È significativo che il rapporto percentuale oggi stimato tra Clinton e Trump risulti diverso se si includono o si escludono i candidati libertario e verde. 

Chi sono i “terzi candidati”? Gary Johnson è stato governatore repubblicano del New Mexico (1995-2003), quindi è passato alla testa del partito libertario per cui ha corso alle presidenziali del 2012 ottenendo l’1% del voto popolare. Si dichiara favorevole alla liberalizzazione della marijuana (che produce ), ai matrimoni gay, alla scelta individuale sull’aborto e, in economia, al taglio radicale del bilancio federale, a zero tasse per le corporation ed al libero commercio internazionale. Nel programma della candidata verde, il medico di Harvard Jill Stein, si propone la lotta alla disoccupazione ed alla povertà, il controllo del clima, l’economia sostenibile e i diritti umani. 
I profili dei due candidati sarebbero del tutto trascurabili, come nella maggior parte delle elezioni, se le presidenziali del 2016 non costituissero un caso alquanto bizzarro. Le alte percentuali che i sondaggi attribuiscono al libertario e alla verde rappresentano un segnale della profonda disaffezione verso la politica tradizionale di una massa non trascurabile di elettori che si indirizzerà sulla terza scelta, con un effetto negli Swing States che potrà essere determinante per la Casa Bianca.
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