La risposta che manca/ Serve un risveglio di tutta l’Europa

di Biagio De Giovanni
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Domenica 20 Agosto 2017, 00:02
Il vero problema del dopo Barcellona, come del dopo Parigi, Londra, Bruxelles, Berlino e altro, sta nel fatto che il terrorismo vive tra le mura di casa, nasce fuori, ma rivive qui da noi. Immigrati di seconda generazione, in generale, giovani, giovanissimi, che vivono nelle città europee, magari con doppia cittadinanza. 

E quindi la prima domanda non tocca direttamente il fenomeno dell’immigrazione oggi in atto, ma interroga anzitutto, e prima di ogni più specifica analisi, su ciò che ribolle nelle società europee, e soprattutto, oggi, in quelle che sono attraversate da ampie comunità di immigrati. Un fenomeno nuovo? Certo se visto nelle sue motivazioni e nei suoi protagonisti che nascono inconfondibilmente dalle aree radicalizzate del fondamentalismo islamico, ma tutt’altro che nuovo, nella sua generalità di terrorismo, se la nostra memoria non decide di chiudere le sue porte d’entrata e di restare come un archivio vuoto e in disuso. Il terrorismo irlandese, quello italiano e tedesco degli anni settanta, prolungatosi da noi per ben oltre un decennio, ci ricordano episodi che, per anni e anni, hanno dato insicurezza e paura alle società colpite, e tanti tanti morti che oggi tornano solo in qualche rara celebrazione. Non intendo sottrarmi a una analisi specifica del fenomeno di oggi, tutt’altro; ma è forse opportuno ricordare i trascorsi europei per cercar di penetrare la logica interna delle società democratiche, gli spazi vuoti che le nostre società lasciano, come varchi nei quali, oltre che il principio di libertà, si insediano i sensi di isolamento e magari di ribellione contro l’esistente. E questo mobilita i potenziali protagonisti di guerre interne, all’ultimo sangue: protagonisti i “partigiani” di una idea, una “guerra” incomprensibile secondo i criteri delle guerre tra Stati che hanno occupato il Novecento. Una guerra che ha bisogno di nuove categorie di analisi, ma che percorre, ha percorso società democratiche dove si disperdono i vincoli sociali, le reti di protezione anche ideale, le coesioni nazionali. 

Sto parlando d’altro rispetto all’oggi? Si e no. No, perchè tutto avviene in quel grande catino che si chiama Europa e in generale tra cittadini “europei” anche se -e non è poco- di diversa origine etnica e culturale. E certo, a cominciare da quest’ultimo elemento, c’è tanto di nuovo e di diverso che va analizzato. E’ possibile, ad esempio, che in zone già radicalizzate delle società di oggi, dove si muove una gioventù che vuol vivere una libertà senza vincoli, si insedii, nientemeno, quella che appare una elementare idea di riscatto, priva di senso della storia nella sua irrealizzabilità. Ma quando mai la storia ha governato l’irruzione di un sentimento, di un mondo vitale che crede di trovare la propria realizzazione in radici quasi esoteriche e in tragici miti? Il fondamentalismo islamico ha avuto la forza e la capacità di costruire, su questo, un tessuto fatto di violenza, di morte, di terrore, mescolato a una idea di riscatto, e il suo insediamento in certe comunità di immigrati (Belgio, Francia, Inghilterra soprattutto) ha alcune ragioni principali.

C’è una difficoltà profonda e forse crescente, nella capacità di integrare, delle società di cui parliamo e dove forte è la ineliminabile presenza di comunità di immigrati. E’ forse eccessivo parlare di fallimento se si pensa a milioni e milioni di immigrati (tra Francia Belgio Germania e Inghilterra), ma certo si va verificando un fenomeno di distacco di fasce significative, soprattutto giovanili, dal contesto sociale, politico, istituzionale in cui prevalentemente vivono. Dominante non è il disagio sociale che può essere elemento di altro tipo di “rivolte”. Qui prevale il senso di riconquista di una identità, rimasta avulsa dall’integrazione perfino avvenuta da qualche generazione, per riemergere oggi: come una cosa ossessivamente affermata, fatta valere con ogni mezzo, che prevede con quasi certezza la morte dello stesso terrorista. Il che indica che essa ha covato nell’animo di tanti, rimasta nei precordi, e poi è emersa con imprevista e assoluta violenza all’occasione più vistosa. Un’occasione che certo può stare nelle guerre “classiche” promosse dall’Occidente nel Medio Oriente; può stare in antichi sensi di estraneità dalla incalzante modernità occidentale e insomma in integrazioni mal riuscite; sta certamente in un rinato fondamentalismo religioso, ma forse trova oggi il suo punto d’origine, o almeno quello che ne facilita l’espansione, nell’irrompere della prima grande crisi politica che ha incontrato la globalizzazione. Se questa crisi sta, per dirla in massima sintesi, nella perdita di coesione delle società, nella crisi esistenziale che tocca intere generazioni, nell’indebolimento di ogni senso del futuro, e, insieme, nel ritorno protettivo, dappertutto, di identità chiuse che apparivano superate e vinte proprio dall’irrompere del mondo globale; se tutto questo incide tra noi, consolidati cittadini dell’Occidente moderno, si possono immaginare gli effetti visivi, psicologici, nella coscienza di chi ha vissuto sempre una vita relativamente appartata e immagina un suo nuovo protagonismo nel quadro di una crisi generale dell’identità europea. E su questa realtà si abbatte, non certo a caso, il Califfato, l’idea di una rivincita in un processo storico che viene da assai lontano e che rievoca un permanente e mortale contrasto tra Islam e Occidente. Insomma, una cosa seria, profonda, indebolita certo dalle sconfitte in Irak e in Siria, ma non mortalmente. E se c’è del vero nell’analisi svolta, il terrore islamista in Europa può perfino crescere in presenza di una sconfitta radicale nei luoghi sacri dell’Islam. 

Torno all’inizio. I terroristi stanno qui, in casa nostra. Sono spesso con passaporto europeo pur con una specifica origine etnico-culturale. Fanno parte, in senso largo, della crisi europea e della crisi mondiale. Non c’è molto, come pur si dice, che li leghi alle ideologie del Novecento; c’è forse qualcosa di più che li lega al Terrore “partigiano” delle nuove “guerre” post-novecentesche, di cui abbiamo avuto riscontri già da noi, anche se in tutt’altre forme. Guerre senza eserciti, dove il nemico sta tra noi, e solo un grande risveglio di tutta l’Europa potrà farvi fronte. Non rinnovando le proprie tradizioni xenofobe, o scrivendo, come pure si è fatto, “accoglienza-scemenza”, ma lavorando per una nuova coesione. Sarà possibile? Si possono avere dubbi, ma altra via non esiste.
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