Europa e Russia/ Tre ragioni per non demonizzare zar Putin

di Carlo Nordio
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Martedì 28 Marzo 2017, 00:25

Quando, nel 1941, l’Alto Comando giapponese propose di attaccare gli Stati Uniti, l’ammiraglio Yamamoto rispose perplesso: «Avete visto l’elenco telefonico di New York? Ci sono più industrie che in tutto il nostro Paese». Non fu ascoltato, e alla fine il Giappone fu distrutto.

Per capire la Russia basterebbe fare la stessa cosa: aprire un atlante. È grande il doppio della Cina e degli Stati Uniti, e possiede ricchezze virtualmente illimitate. Anche un libro sulla sua storia sarebbe istruttivo: ha dato al mondo i più grandi romanzieri, oltre a musicisti come Tchaikovsky e scienziati come Sacharov. Durante la seconda guerra mondiale ha patito 20 milioni di morti: la sconfitta delle armate di terra hitleriane è essenzialmente merito suo. Per di più ha una religione consolidata e vitale. 

Può sembrarci grottesco vedere Putin accendere candeline accanto al Pope, ma peccheremmo di ingenuità. Anche Stalin riaprì i santuari quando i nazisti erano alle porte di Mosca. La Grande Madre Russia è religiosa e soprattutto orgogliosa. Purtroppo questo grande Paese non ha mai conosciuto la nostra libertà. Smentendo clamorosamente Marx, è passato direttamente dal feudalesimo zarista alla tirannide rossa. E quando il comunismo è crollato si è affidato, né poteva essere altrimenti, a persone cresciute nell’apparato del partito, o tra le file del Kgb, o in entrambi. Non c’è da meravigliarsi che, da Eltsin in avanti, tutti i nuovi reggenti non siano stati modelli di democrazia liberale.

Tuttavia, con loro, la Russia è cambiata. Secondo i nostri metri è ancora un regime autoritario, e i fatti di questi giorni lo dimostrano. Ma sarebbe un grave errore demonizzare Putin e isolarne la posizione. Per almeno tre ragioni.

Primo. L’arresto di Navalny è indubbiamente un errore perché impedisce la libertà di manifestare il pensiero, caposaldo delle nostre democrazie. Ma proprio perché Putin non è Stalin, e l’oppositore non è trattato come Bucharin e nemmeno come Solgenitsin, esasperare la polemica sui diritti umani non porta molto lontano. Se il nuovo Tzar è forte, se ne infischierà. Se invece ha problemi interni (e pare li abbia) potrebbe uscirne indebolito, o magari sconfitto. E dopo? Potremmo avere una deflagrazione della Federazione Russa, con un’ennesima vampata di rivendicazioni islamiche. L’esperienza dell’Afghanistan e dell’Iraq dovrebbe essere istruttiva. 
Secondo. Le sanzioni non hanno mai funzionato, nemmeno con Paesi poveri e scalcagnati come l’Italia di Mussolini durante la guerra d’Etiopia. Crediamo davvero che possano condizionare il capo così potente di un popolo così orgoglioso in uno Stato così grande? Tanto varrebbe credere all’asinello che vola.

Terzo. È noto che Putin sostiene Marine Le Pen e le altre formazioni euroscettiche. Fa il suo interesse economico, perché questi partiti sono contrari alle sanzioni; e fa l’interesse nazionale, perché indeboliscono l’Europa. C’est la politique. Dopodiché è doveroso che i Paesi democratici vigilino sulla trasparenza dei meccanismi di finanziamento della politica, soprattutto quando in ballo ci sono flussi da un Paese straniero. 

Concludo. Credo che l’unico modo per fargli cambiare rotta sia un ragionamento fondato sul mutuo interesse: si rinunci alle sanzioni, e la Nato smetta di esibire i muscoli ai confini della Russia. Così rassicurato, Putin avrà più margini per non deragliare sulla libertà interna e mostrare concretamente più fiducia all’Europa. Non perché sia diventato più buono, ma perché gli conviene.
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