Intervista all'economista Dean Baker: «Sbagliato un tetto generalizzato ai bilanci, bisogna valutare l'economia di ogni Paese»

Intervista all'economista Dean Baker: «Sbagliato un tetto generalizzato ai bilanci, bisogna valutare l'economia di ogni Paese»
di Flavio Pompetti
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 17 Gennaio 2018, 07:45
NEW YORK «I limiti allo sforamento del bilancio non possono essere assegnati a tavolino, ma vanno valutati con particolare attenzione in relazione all'andamento generale dell'economia di un singolo Paese. L'ammontare del debito è un facile spauracchio da sventolare davanti agli occhi degli elettori, ma da solo il dato dell'indebitamento non descrive lo stato di salute dell'intero sistema». L'economista statunitense Dean Baker, fondatore del Center for Economics and Policy Research di Washington, commenta i temi del dibattito economico in corso in Italia in vista delle elezioni.

Federal Reserve e Tesoro Usa hanno mantenuto negli ultimi nove anni una politica espansiva del debito, in contrasto al rigore professato in Europa. Che risultati ha dato?
«Il Pil degli Usa avrebbe potuto crescere ad un passo più robusto se l'amministrazione Obama fosse stata meno ossessionata dall'idea di tenere sotto controllo il tetto del bilancio e la crescita del debito sovrano. Il dibattito ha portato a un'impasse nell'azione di governo e a un rallentamento degli interventi che hanno frenato la ripresa. Senza la forte opposizione alla spesa pubblica avremmo visto aumentare la domanda e i posti di lavoro, e saremmo potuti tornare con anticipo alla crescita del 3% e oltre a cui stiamo assistendo negli ultimi trimestri».

Negli Usa il debito è il 106% del Pil, in Italia il rapporto è salito al 132%.
«Il dato è al limite della tenuta e infatti preoccupa la comunità internazionale, ma da solo non racconta l'intera realtà del paese. Gli indici da considerare sono l'inflazione che continua a non salire nonostante gli incentivi e il ritorno della liquidità, e la permanenza di interessi bassi sui prestiti. La presenza di questi fattori bilancia in qualche misura l'entità del debito, e incoraggia l'idea di procedere con nuovi investimenti che possano sostenere la ripresa in atto, e rilanciarla a un passo più robusto rispetto a quello attuale. Il freno semmai si applicherà in una seconda fase, nel caso i fondamentali cominciassero a mostrare surriscaldamento. In Usa aumenti delle tasse e tagli del deficit sono avvenuti nel 1982 all'inizio della presidenza Reagan, poi nel '90 e '93 con Clinton».

Che impatto ha sull'economia di un paese l'esecuzione di un grande piano di spesa infrastrutturale?
«Nelle nostre analisi vale due o tre punti addizionali di crescita del Pil, diciamo sulla base di un intervento decennale. A patto però che sia eseguito con diligenza, e che gli investimenti non si perdano nei rivoli ciechi degli interessi particolari e della politica. La formulazione del piano deve essere rigorosa, ed evitare le proposte di una partecipazione del settore privato presentate dai repubblicani qui negli Usa, i quali finirebbero per fare man bassa dei fondi messi a disposizione dal governo».

L'approssimarsi della data elettorale in Italia ha riportato alla luce il dibattito sull'introduzione della flat tax.
«L'idea è popolare perché a una prima lettura sembra una promessa di tagli per tutti. Invece è una misura che per solito offre il risparmio fiscale in gran parte alle classi più abbienti, mentre classe media e lavoratori ne rischiano di pagare i costi. Sottolineo però che l'ingiustizia fiscale non sta nel principio del progressivismo delle imposte, ma nella complessità dei codici che permettono ai contribuenti più esperti e meglio consigliati di trovare le scappatoie per limitare l'imposizione. Se si vuole raggiungere l'uguaglianza è sul piano della semplificazione che bisogna agire anzitutto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA