Trattativa Cdu-Spd/ La Germania nella palude ripercorre vecchie strade

di Marco Gervasoni
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Venerdì 8 Dicembre 2017, 00:17
Le idee sono sempre confuse quando nel linguaggio politico prevalgono gli ossimori - cioè gli accostamenti tra due termini dal significato opposto. Di cui era colmo il discorso di Martin Schulz, nel Congresso con cui ieri la Spd lo ha incaricato di trattare la formazione di una Grande Coalizione. Fino all’invito ai compagni, i membri del partito, a «litigare rispettosamente»: un divertente ossimoro. 

Ed è infine un ossimoro la stessa Spd: tra i vertici, tutti favorevoli a ritornare al governo con Angela Merkel, e i delegati, poco convinti, scorati e disillusi. Poi la base ha votato, e pure a larga maggioranza, quanto raccomandato dai capi, secondo la «legge ferrea dell’oligarchia», formulata più di un secolo fa dal sociologo Robert Michels: i militanti fanno quello che chiedono i dirigenti. 

Un conto però sono gli iscritti, un altro gli elettori. E proprio nella sua costituente elettorale la Spd vive la contraddizione tra lavoratori e operai, che la votano sempre meno, e un ceto medio affluente: i due gruppi sociali seguono strade diverse, nonostante la coperta della Germania sia molto larga. E soprattutto al ceto medio affluente, europeista per mentalità prima che per interessi, ha parlato Schulz ieri, con la proposta di creare gli Stati Uniti d’Europa… tra sette anni! Una visione.

Ma una di quelle visioni per cui il grande cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt consigliava di rivolgersi al medico. L’intemerata di Schulz, accolta subito con giusto gelo da Merkel e dai democristiani, indica però che la sua posta sarà molto alta. Oltre a un europeismo hard, chiederà aumento delle tasse e degli investimenti, e una generosissima apertura delle frontiere. Per questo non daremmo ancora per scontata la riuscita della Grande Coalizione, anche se oggi è più probabile di una settimana fa. E comunque, come hanno raccomandato ieri anche i dirigenti più calorosi verso Merkel, niente fretta. La tela del programma comune sarà tessuta con andamento molto lento. I ministri della Spd, un partito in profondo declino elettorale, saranno sottoposti a una pressione fortissima: la stessa di cui saranno oggetto quelli della Cdu da parte delle componenti conservatrici dell’elettorato. Così come la Spd deve ricostruire una propria identità, come raccomandato da tutti ieri, anche la Cdu, un partito da molti ritenuto ormai indistinguibile da una qualsiasi formazione di centrosinistra, dovrà ritrovare un profilo moderato e conservatore. In ogni caso, è difficile che la Grande Coalizione vada oltre il 2019, data delle elezioni europee. 
La nuova alleanza dovrà riempire un vuoto, che nell’attesa sta colmando l’altro grande vincitore di ieri, oltre a Schulz: il presidente francese Macron. Il nuovo asse franco-tedesco, diversamente da quanto avvenuto dal crollo del Muro di Berlino fino a oggi, sarà ora più forte sul versante di Parigi. Per l’Italia non è detto che sia un bene: ogni volta che in Europa il peso francese ha surclassato quello tedesco, Roma è stata messa ai margini, e ne è uscita contando su un rapporto preferenziale con gli Usa e su alleanze tattiche con Londra. Entrambi oggi, almeno per il momento, fuori gioco.

Nella storia poi, quando i francesi hanno spadroneggiato senza adeguati equilibri, hanno dimostrato di non sapere esercitare la leadership: e preoccupano i toni criticamente francofili e quasi giacobini con cui, ancora ieri, Schulz ha ritmato tutto il suo discorso. Forse ritorna la Grande Coalizione: ma non farà più rima con «stabilizzazione». Ed è difficile che il modello venga esportato altrove; noi italiani, che alle elezioni rischiamo una situazione alla tedesca, dovremo escogitare altro: la fantasia non ci manca.

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