Normalità possibile/ La città ripulita e l’eccezione che non è regola

di Paolo Graldi
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Giovedì 25 Maggio 2017, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 00:27
Paolo Graldi L’eccezione e la regola e non l’eccezione che conferma la regola. Ci voleva la fulminea vacanza di lavoro di The Donald per produrre sui tutori della spazzatura una severa e benefica frustata. I percorsi offerti dall’aeroporto di Fiumicino a centro città, residenza di villa Taverna ai Parioli, al serpentone dei maga-suv presidenziali sono apparsi in una forma smagliante. Nel vero senso del termine. Gli addetti alla rimozione dei rifiuti sono stati mobilitati in massa, come succede quando nei piccoli centri il vescovo fa visita alle parrocchie sperdute, tirate a lucido per l’occasione. Giusto, si vuol fare bella figura, consegnare all’ospite una buona immagine e un grato ricordo. Salvo poi tornare subito dopo alle care, vecchie, deprecabili abitudini. Insomma, la città eterna ha accolto il presidente degli Stati Uniti, la sua famiglia e il gigantesco seguito di addetti e consiglieri, con il massimo di impegno. Ma è stato come dare la cera alle scale e olio di gomito al salotto lasciando il resto allo stato dell’arte, disastrosamente abbandonato. Donald Trump, e meno male, racconterà di una Roma accogliente, non entusiasticamente festosa a causa delle zone rosse e del traffico strangolato dai divieti, e tuttavia con un cielo irripetibile altrove, un’aria delicata e quasi fresca e un bel verde scintillante di primavera, curato nei dettagli.

Pochi secondi (è rimasto sempre chiuso in quella scatola d’acciaio simile alla “Bestia”, la sua supecar a prova di colpi di cannone che stavolta ha lasciato negli States) di aria romana, certo non come ai tempi di Gregory Peck e della soave Audrey Hepburn e delle loro “scarrozzate” da innamorati in Vespa a piazza di Spagna. Pochi secondi e un ricordo che, lo ha detto il presidente, gli ha fatto venire la voglia di tornare in Italia. In Italia, non ha detto a Roma. Sottigliezze diplomatiche, forse. Forse. Lodevole lo sforzo del Campidoglio nel dispiegare lungo i tragitti prescelti all’ultimo istante ma ben curato in anticipo i vigli urbani tirati fuori dagli uffici ad affiancare una imponente rete di sicurezza voluta dal Viminale per assicurare il massimo di protezione all’illustre ospite. Nessuno osa chiedere una ripetizione quotidiana di uno sforzo eccezionale.

Appunto, l’eccezione. Ma un timido e persistente trasferimento dell’eccezione alla regola in modo che anche i raccoglitori di immondizia siano sulle strade, impegnati ai cassonetti straripanti e infestati di topi, blatte e uccellacci vari, infastiditi nel caso, dai cinghiali ormai rintracciabili anche nel centro storico. «Ao’, dovrebbe arrivà ‘n Trump ar giorno, pe’ facce campa’ decente», riporta Mario Ajello in una sua cronaca in diretta sul passaggio presidenziale, per fissare con una fucilata in vernacolo lo sguardo cinico del romano de Roma, infallibile nel cogliere il lato debole e ironico insieme della fatica di vivere.
Viviamo ormai in una metropoli per la quale il ministro della Salute ordina ai carabinieri del Nas di indagare sulle “pantegane” che escono dai tombini per un arrembaggio permanente ai cassonetti rigonfi di scarti non differenziati. La questione rifiuti a Roma, tra rimpalli continui e ping-pong di responsabilità tra Comune e Regione e una tenace resistenza della dirigenza (la quale infatti cambia in continuazione), sta travalicando i limiti dell’emergenza. Perché è emergenza qualcosa che capita eccezionalmente ma poi rientra nella norma e nella normalità e non qualcosa che si spalma come un manto maleodorante in modo permanente sulla città e i suoi cittadini. L’organizzazione che rastrella l’immondizia sembra muoversi con adeguatezza quando è pungolata politicamente. Due settimane fa, su esplicita sollecitazione di Matteo Renzi, segretario del Pd rieletto, si sono attivate centinaia di magliette gialle, incentivate ad una raccolta e pulizia di strade e parchi: una provocazione per dire che si può, che i cittadini sanno fare la loro parte, farsi carico di un dovere civico che invece viene sottovalutato dalla istituzione preposta. In quell’occasione il Campidoglio, nottetempo, mobilitò le risorse disponibili cercando di giocare d’anticipo rispetto alla improvvisata concorrenza. Pungolate nell’orgoglio le forze dell’Ama andarono a caccia di cassonetti straripanti per limitare un danno di immagine il quale però è già nel bagaglio quotidiano dell’esperienza collettiva. Un’iniziativa, quelle delle magliette gialle, motivata politicamente certo, ma forte come segnale di allarme: Ama, svegliati, sembrava urlare. Siamo arrivati, fa capire il ministro della salute Lorenzin, alla soglia inferiore dell’igiene pubblico, là dove sono in agguato malattie e poi, se va male, anche epidemie. Le promesse che tutto andrà a posto rischiano anch’esse di finire in un cassonetto pieno perché se è vero che il problema è complesso è altrettanto vero che è necessario affrontarlo con altre scelte, altre visioni d’insieme, altro coraggio. La tassa sui rifiuti a Roma è la più alta d’Italia: sarà per questo che non rimuoverli accresce gli affari? Giardini curati, aiuole senza sterpaglie, vigili in campo, rifiuti rimossi, traffico snello, cielo terso e cittadini al di là delle transenne: la Roma vista da Trump e che sembra essergli piaciuta la vorremmo vedere anche noi che ci abitiamo. Oppure invitiamo il presidente americano tre o quattro volte l’anno così ci assicuriamo che almeno il suo viaggio nell’Urbe sia da esposizione universale. 
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