L’Italia e il ruolo chiave nei rapporti con Mosca

di Marco Gervasoni
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Mercoledì 24 Maggio 2017, 00:01
È meglio che non coltiviamo troppe illusioni. Trump è a Roma più per essere ricevuto dal Papa che per svolgere una classica visita di Stato, giocoforza dai tempi più lunghi. Ma l’incontro con Mattarella e con Gentiloni, subito dopo Bergoglio, non è solo un passaggio protocollare.

Tutti capiamo perché il Pontefice abbia diritto di precedenza. Nonostante le sue poche divisioni, per citare una celebre battuta di Stalin, il Vaticano è un interlocutore indispensabile per l’America di Trump, che intende interpretare meno che in passato il ruolo di regolatore del mondo, ma certo non mira a dismettere la veste di grande potenza. La sua missione, costantemente ribadita dal presidente Usa, è debellare il terrorismo, e sappiamo bene quanto ve ne sia bisogno. 

Oltre ai mezzi militari, questa guerra dovrà dispiegare le armi delle idee, con il contributo della sapienza delle religioni, come ha chiarito Trump nel discorso in Arabia Saudita. Da qui la prima ragione dell’incontro con il Papa, convinto che sia in corso una «guerra mondiale a pezzetti» da cui uscire con l’aiuto delle fedi. Ecco allora che capiamo meglio la scelta del Vaticano come destinazione di Trump, dopo l’Islam a Riyad e l’ebraismo a Gerusalemme - benché con i sauditi abbiano certo pesato pure gli affari (come se invece Obama ne fosse schifato). 

La seconda ragione della visita di Trump è da cercarsi nei problemi interni. Può una politica conservatrice nei valori, come quella perseguita dal presidente, esimersi dalla Chiesa cattolica? Difficile. Se Obama e Hillary Clinton intendevano l’aborto come «un diritto» inalienabile, da estendere e promuovere, Trump e il giudice della Corte, Gorsuch, da lui nominato, faranno di tutto per frenarne gli abusi. Senza contare l’influsso che la chiesa cattolica statunitense esercita sui latinos. 

La terza ragione sta nella peculiare personalità del Pontefice: una delle figure più popolari del pianeta, in modo molto diverso da Trump, ma anch’egli un imprevedibile sovvertitore di regole. Celiava solo fino a un certo punto il Wall Street Journal quando di recente definiva Bergoglio il Trump del Vaticano e Trump il Bergoglio della Casa Bianca. E proprio per il carattere dei due, è difficile prevedere l’esito della visita. Non è però solo per protocollo che Trump incontrerà anche Mattarella e Gentiloni. 

Ovvio, l’Italia ospita il G7. Ma crediamo che il presidente riconosca al nostro paese qualche merito in più. Uno deriva dalla posizione equilibrata, rispetto ad altri stati dell’Unione europea, che Roma è riuscita a mantenere nei confronti della Russia. Sarà anche solo per i (sacrosanti) affari ma l’attuale governo, come il precedente, non ha certo issato in cima alla lista dei nemici Putin: e Gentiloni a Soci ha parlato con chiarezza, l’Italia è contraria a nuove sanzioni.

Nessuno del resto ha osservato come Putin (restio a fare qualcosa per caso) si sia schierato sul Russiagate in difesa di Trump proprio durante la conferenza stampa con il nostro presidente del Consiglio. Italia mediatrice? Ci si potrebbe provare. L’altro merito che Trump può riconoscere all’Italia sta nella sua collocazione mediterranea, da cui è nata nel secolo scorso una politica estera duttile e prudente, da alcuni a torto ritenuta cinica e cedevole. Oggi siamo in prima linea su due frontiere; la libica, a cui gli Stati Uniti guardano, e quella, che comunque sempre Tripoli attraversa, dell’immigrazione. Un tema su cui si discuterà nel G7: se il nostro ruolo dovrà essere quello di guardiani della «fortezza Europa», a cui Trump non è poi così indifferente, sarà tutto interesse degli Usa sostenerci.
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