Dialogo in Vaticano/ Doni simbolici e distanze accorciate

di Franco Garelli
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Giovedì 25 Maggio 2017, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:27
Chiudere il cerchio sul Medio Oriente e ricucire i rapporti con Papa Francesco, ecco i due obiettivi più rilevanti della visita lampo di Donald Trump in Vaticano, durante la sua prima tournée ufficiale fuori dai confini americani. Il viaggio continua, con l’approdo prima a Bruxelles e poi la partecipazione al G7 di Taormina.
Ma è indubbio che la sosta a Roma (programmata dopo essere stato nel Golfo Persico e in Israele) riveste un sapore particolare nell’attuale strategia geo-politica del presidente Usa. 
A Riyad Donald Trump non ha soltanto onorato la sua fama di uomo d’affari, firmando con l’Arabia Saudita accordi di fornitura di armi per 110 miliardi di dollari. Con la promessa di vendita delle armi, e la parallela denuncia pubblica del pericolo Iran per il Medio Oriente, Trump mira a rinsaldare i rapporti tra gli Stati Uniti e la più grande nazione sunnita di quella regione, in vista di ragioni non solo tradizionali ed economiche. Si tratta del riconoscimento che Re Salman e il ceto dirigente e religioso di quel popolo possono svolgere un ruolo decisivo negli equilibri medio-orientali, quali rappresentanti di una nazione che ha una grande influenza nel mondo arabo-sunnita, anche per le risorse economiche di cui dispone. 

Gli accordi e l’ossequio all’Arabia Saudita ha dunque un doppio obiettivo: da un lato sollecitarla ad un impegno decisivo nel contrastare il fondamentalismo religioso di matrice islamica, dall’altro favorire in tutti i luoghi santi della Regione un clima di pacifica convivenza tra le diverse fedi religiose che la abitano. Tra i luoghi santi scenario di tensioni e di divisioni vi è anche Gerusalemme, per cui il Regno saudita può svolgere un’azione importante anche nella soluzione dell’annoso conflitto israelo-palestinese, nella pacificazione tra i Paesi arabi e il mondo ebraico.
E’ in questo quadro che si comprende anche il significato della visita di Trump a Gerusalemme, il suo ingresso nella Chiesa del Sacro Sepolcro, in ossequio al cristianesimo, le sue parole ‘uniti contro il male’ al Muro del Pianto, in omaggio all’ebraismo. Emerge così l’immagine di un Presidente che non ti aspetti, che per l’occasione dismette l’abito del faccendiere economico per presentarsi come il capo di una nazione (quella americana) che scommette sul dialogo tra le fedi per favorire la pace nel Medio Oriente.

La visita breve e intensa in Vaticano sembra rientrare in questo disegno. Il riconoscimento in questo caso è da un lato nei confronti di un Pontefice che si è molto speso per ricucire i rapporti tra la chiesa di Roma e l’islam, per rilanciare a tutti i livelli il dialogo ecumenico, per ricordare “l’unico Dio” professato dalle tre religioni monoteiste; dall’altro verso un cristianesimo sovente discriminato e martirizzato in Medio Oriente, cui tuttavia spetta un compito fondamentale nel promuovere la pace tra le religioni e nel mondo intero.
C’era molta attesa e curiosità per questo rendez-vous romano, tra due alte personalità che in più occasioni non hanno mancato di rendere pubbliche – anche con immagini tranchant – le loro differenze di sensibilità sia religiosa, sia ‘politica’, sia ancora nello stile di vita. Con un Papa Bergoglio che a più riprese ha bacchettato Trump (da candidato alla Casa Bianca o anche da presidente Usa) per la sua voglia di erigere più muri che ponti, affermando che chi discrimina gli immigrati non è un buon cristiano; e con Trump che ha risposto per le rime, rivendicando di essere non solo una brava persona ma anche un ‘buon credente’, e accusando il Papa di essere un uomo più ‘politico’ e ideologico che religioso. 

Tuttavia, al di là delle molte idee, prassi e visioni che li separano, entrambi i personaggi sembrano avere qualche tratto in comune, tra cui la franchezza del linguaggio e la propensione a essere persone decisioniste e anche una buona dose di pragmatismo. Proprio alla vigilia della visita di Trump, il Papa ha aperto qualche spiraglio, richiamando l’idea già espressa quando il Presidente Usa si è insediato alla Casa Bianca: «Lo giudicherò dai fatti, vedremo quel che dirà e farà. Non giudico, mi interessa solo se fa soffrire i poveri. Vedremo le cose concrete e valuteremo, il cristianesimo o è concreto o non è cristianesimo». Analogamente, anche il Presidente Usa – dopo aver a lungo negato la voglia di incontrare il pontefice – si è dimostrato più cauto e riflessivo, affermando di essere onorato dell’invito in Vaticano.

Proprio l’essere persone pragmatiche è il fattore che sembra aver reso disteso l’incontro tra il Papa argentino e il magnate-presidente Trump. Le divergenze su rilevanti questioni restano; ma entrambi hanno espresso i loro diversi punti di vista cercando comprensione e convergenza. C’è un filo di ironia nello scmabio dei doni. Bergoglio ha regalato a Trump le sue encicliche autografate, anche quella sull’ecologia che ben si distanzia dalle attuali posizioni Usa sull’ambiente. Da parte sua il Presidente americano non solo ha offerto al Pontefice il cofanetto di libri di Martin Luther King (la cui ispirazione sociale e religiosa è ben nota), ma ha espresso al Papa attenzione sui temi della difesa della vita e sulla tutela della libertà religiosa, riconoscendo il prezioso ruolo svolto dal cattolicesimo negli Stati Uniti (quindi anche a difesa delle classi più deboli ed emarginate, come gli immigrati). 
È del tutto evidente che in tal modo, Trump cerca di riappacificarsi con quella parte dell’elettorato cattolico americano che meno condivide le sue scelte sociali e politiche. Anche con quella destra cattolica (tra cui rientrano i neo-con) che se da un lato fa difficoltà a identificarsi nella politica ecclesiastica di Papa Bergoglio, dall’altro è in aperto conflitto con un presidente che su varie questioni non è allineato ai valori e alla cultura del partito repubblicano.
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