Intervista al presidente dell'Anac Cantone: «Liste pulite, i partiti facciano una legge»

Intervista al presidente dell'Anac Cantone: «Liste pulite, i partiti facciano una legge»
di Mario Ajello
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Domenica 17 Aprile 2016, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 00:59
Presidente Cantone, è pronto a venire subissato dalle liste dei partiti per le elezioni amministrative? Vogliono tutti il bollino di garanzia dell’Autorità anti-corruzione.
«Già ci è arrivato, da una lista civica napoletana, un elenco di 40 candidati con la richiesta di verificare la bontà degli stessi. Com’è ovvio la restituiremo al mittente, molto cortesemente. Plaudendo alla loro volontà di far verificare la bontà dei candidati, ma aggiungendo che l’indirizzo non è quello giusto».

Ma non siete voi che dovete garantire la pulizia delle liste, sennò quello che è accaduto con Mafia Capitale può ripetersi sia a Roma che altrove?
«Si è creato un equivoco sul nostro ruolo. Tra i nostri compiti, non c’è assolutamente nulla che riguardi la politica e non vogliamo immischiarci in cose non nostre».

E allora chi è che vi interpella sempre: la commissione Anti-Mafia, i partiti che fanno lo scaricabarile?
«Ho incontrato nelle ultime settimane due dei candidati sindaci di Roma, Roberto Giachetti e Virginia Raggi. Ma abbiamo parlato della gestione degli appalti a Roma, che è notoriamente critica, e non di liste. Utilizzando una frase scherzosa, direi che l’Anac può dare il bollino blu sulle gare, ma non certo sulle persone».
 
Ci consenta di insistere: perchè la presidente Rosi Bindi, dell’Antimafia, dice che bisogna trovare qualcuno che verifichi le liste e l’Anac è stata la prima ad essere indicata?
«La Bindi pone un problema giusto. Anche se bisogna capire su che cosa va fatto il controllo. Non possiamo essere noi i soggetti controllori. Non c’è, ad oggi, nessuna legge in questo senso. E non credo che sarebbe opportuno che dovessimo occuparci noi di questa materia».

E su che cosa, in generale, andrebbe fatto il controllo per rendere la politica più pulita?
«Posso, in base alla mia precedente esperienza di pm, azzardare un’ipotesi».

La azzardi.
«Un organismo pubblico, quale potrebbe essere la Prefettura o le commissioni elettorali, dovrebbe controllare i requisiti soggettivi dei candidati. Ad esempio, le condanne per reati gravi, anche non passate in giudicato».

Questo basterebbe a risolvere l’immensità del problema?
«Ovviamente, no. Il vero problema è che molto spesso i candidati sono formalmente immacolati. Ma, per legami personali o familiari, si comprende che possono essere esponenti di mondi illeciti. In questo caso, non c’è alcuna legge e alcuna norma che potrebbe escluderli. Anche perchè, in gioco, è uno dei diritti più importanti di livello costituzionale: cioè il diritto all’elettorato passivo».

Perchè questo problema non fu affrontato, quando l’Antimafia fece la famosa lista degli impresentabili alle ultime elezioni regionali?
«Infatti io fui critico rispetto a quell’elenco. Perchè conoscendo bene alcuni dei candidati nelle liste in Campania, mi accorsi che vi erano soggetti sostanzialmente impresentabili ma formalmente non tali che con quella lista rischiavano di avere una patente di pulizia».

Sta insomma dicendo che dobbiamo arrenderci e che bisogna accettare la vergogna dei candidati impresentabili?
«Non dico affatto questo. E’ la politica che, in primo luogo, deve fare scelte chiare. Credo infatti che ci possano essere comportamenti penalmente irrilevanti ma che rendono un soggetto inadeguato a rappresentare i cittadini. Ad esempio: un soggetto che frequenta stabilmente mafiosi non commette nessun reato. Ma potrebbe davvero fare il sindaco, o il consigliere comunale, o il consigliere regionale, o il parlamentare?».

No. Ma come si evita?
«Nelle democrazie mature, non c’è bisogno di regole. Perchè basta pochissimo per allontanare una persona o non farla arrivare alla politica attiva. E’ sufficiente non aver pagato i contribuiti alla colf o aver copiato alcuni capitoli di una tesi di laurea».

E nella democrazia italiana?
«Qui vorrei lanciare una proposta provocatoria. I partiti spesso sono prodighi di codici etici, che però non sempre fanno rispettare. Si potrebbe, ad esempio, prevedere che - una volta che un partito ha adottato un codice etico - quelle regole diventino vincolanti e possano anche essere applicate giudiziariamente su richiesta di qualsiasi cittadino».

Ciò non metterebbe in discussione l’autonomia dei partiti?
«Tutt’altro. Consentirebbe di rendere cogenti le loro regole interne».

Giuridicamente è praticabile questa sua proposta?
«Le rispondo con un’altra domanda. Ma nelle società di capitali, che si dotano di statuti, i soci non possono far valere anche la violazione degli statuti?».

La proposta può valere anche per le primarie?
«Sì. Credo che le primarie vanno regolate con una legge».

Questa normativa che lei propone potrebbe essere utile più in generale alla lotta contro la corruzione?
«Potrebbe essere utilissima, e perciò ne sto parlando. Perchè i soggetti che arrivano ad assumere la veste di decisori pubblici, se sono moralmente specchiati e privi di conflitti d’interesse, danno più garanzia che la loro azione amministrativa sia trasparente. In questo senso, alcune vicende emerse in Mafia Capitale sono la dimostrazione di quanto affermo».

In quale senso?
«Si è trattato, in Mafia Capitale, di soggetti fatti eleggere da gruppi illeciti di potere all’interno del consiglio comunale e che all’interno di quell’organismo erano al servizio dei gruppi medesimi e non dell’interesse pubblico».

Lei sta dicendo che l’Anac non si deve occupare di liste e propone una auto-responsabilizzazione dei partiti e dei cittadini?
«Il punto è che l’Anac è uno dei soggetti che deve occuparsi della lotta alla corruzione. Il nostro compito non è moralizzare la vita pubblica. E’ evidente che un risultato positivo nella battaglia anti-corruzione deve venire dall’impegno anche dei partiti politici e dei corpi sociali. Il monopolio, in questo campo, non ce l’ha nessuno. E il nostro compito è quello di occuparci di un pezzo, ma non minori responsabilità spettano ad altri».

A Roma, il marcio c’è ancora e se c’è dove s’annida?
«Stiamo ancora accertando numerose vicende di irregolarità, soprattutto nel campo degli appalti. E stiamo verificando che la gestione commissariale del prefetto Tronca sta mettendo in atto fatti eccezionali di discontinuità. Che credo potranno essere utili a chiunque farà il sindaco di Roma. Le nostre attività credo che siano un monito di cui non sarà difficile non tenere conto da parte di chi governerà la Capitale».

Il candidato sindaco del Pd, Giachetti, appena chiuse le liste vorrebbe mandargliele. Fa bene?
«Lo ritengo un fatto di stima personale. Ma noi non abbiamo nè i poteri nè gli strumenti per fare alcun tipo di controllo. Non siamo forze di polizia, non possiamo esaminare nè precedenti penali nè rapporti di frequentazione nè altro».
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