Caso Appendino/ La doppia zavorra

di Mario Ajello
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Mercoledì 18 Ottobre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 07:41
La simbiosi. Tra Chiara Appendino e Virginia Raggi. Eppure, apparivano - e per certi aspetti sono - così diverse. Ma la vicenda giudiziaria le accomuna. E trasforma i due simboli al femminile dei 5 stelle, le due novità di donne alla guida dell’ex Capitale e dell’attuale Capitale, nelle zavorre del movimento grillino in questa campagna elettorale, appena cominciata, per le elezioni politiche e il cui antipasto il 5 novembre sarà il voto regionale in Sicilia. 

Una era il Paradiso, corteggiata da tutti come la grillina pragmatica e dal volto umano («Non uso il bazooka», suo classico motto insieme a quest’altro: «Gli interessi della mia città vengono prima di quelli del mio movimento») fino ai terribili fatti con morto e feriti di Piazza San Carlo, e fu indagata anche per quelli. Mentre l’altra veniva descritta come l’Inferno d’impreparazione in una città assai più complicata da gestire rispetto a Torino. Ora le due sindache condividono un Purgatorio, in cui il garantismo che vale per tutti deve valere anche per loro due. Sono appaiate e appannate Chiara e Virginia da accuse gravi, e forse (di fatto le imputano di aver truccato i bilanci) quelle che pendono sulla Appendino sono peggiori di quelle che pesano sulla Raggi. 

La similitudine riguarda anche i personaggi coinvolti nelle due vicende. In entrambi i casi, i guai delle sindache coinvolgono i rispettivi Rasputin. Raffaele Marra per la Raggi. Paolo Giordana, capo di gabinetto considerato “sindaco ombra” di Torino, per la Appendino. Virginia all’inizio non è stata difesa dai vertici 5 stelle - nessuno avrebbe messo la mano sul fuoco sulla sua innocenza e l’avversione generale per Marra molto contribuiva in questo atteggiamento a dir poco tiepido - che poi per realpolitik e per la legge del simul stabunt simul cadent hanno cominciato a farle da scudo. Chiara invece è stata ieri immediatamente protetta da Di Maio e da tutti gli altri, tramite un fuoco di fila a base di teorie del complotto e di sospetti di un’azione politico-giudiziaria scattata ad orologeria. E’ stato eretto il muro a protezione della sindaca torinese, ma ora - con la campagna elettorale già entrata nel vivo - si dovrà vedere se i pentastellati avranno la forza di ripetere per Chiara ciò che hanno stabilito, in tempi più facili, per Virginia.

Per la Raggi, Grillo e Casaleggio hanno avuto il tempo di riscrivere il Codice Etico, comprensivo addirittura di una svolta garantista secondo cui il sindaco indagato non si deve dimettere ma se condannato deve invece lasciare il suo posto. Stavolta, la vicenda Appendino è stata improvvisa e bisognerà vedere come gestirla. Cioè se, in tempi di scontro duro in cui nulla si può concedere all’avversario, si finirà per derogare rispetto al Codice Etico (solo gli ortodossi in queste ore lo citano e tutti gli altri no), arroccandosi nella difesa dura e pura del loro simbolo di buona amministrazione - in realtà già sbrecciato da politiche rivelatesi poco efficaci per Torino e ora criticate dai più in quella città - perché la guerra è guerra e guai a concedere un centimetro al nemico. Dalle prime reazioni dei vertici 5 stelle, sembra emergere più il muscolarismo del fare quadrato che l’ipotesi di far scattare - quando e se verrà il momento - la tagliola delle dimissioni come è previsto nel caso della Raggi. 

Di sicuro, ai 5 stelle conviene - e lo stanno dimostrando - tenere separate le due vicende, e c’è pure la terza che riguarda il sindaco livornese Nogarin a sua volta indagato, perché la loro somma rende ancora più evidente un fatto: che lo sbandieramento dell’onestà al governo non basta, anzi è dannoso se si deve poi mentire per coprire inadeguatezze o eventuali imbrogli. E sono ovvi i contraccolpi politico-propagandistici, ai danni di M5S, che la nuova tegola giudiziaria produce. La diversità etica e gestionale di cui le amministrazioni grilline si sono vantate ai loro esordi, in nome della discontinuità, rischia di capovolgersi agli occhi della pubblica opinione nel così fan tutti e il mito dell’onestà di solito ripetuta tre volte in ogni piazza e anche in quella parlamentare (onestà-onestà-onestà) corre il pericolo di ridursi, nel giudizio degli elettori, a feticcio vuoto. A slogan di comodo. A impura retorica della purezza. Dunque, se il problema era solo Roma, adesso diventa anche Torino e il gemellaggio di due città importanti a rischio frana può diventare una slavina micidiale, nella fase meno adatta per una forza politica che aspira a governare tutto.
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