Dagli Usa all'Italia/ Delegittimare le leadership mette a rischio la democrazia

di Alessandro Campi
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Lunedì 22 Maggio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:11
Il crescendo parossistico di insinuazioni e sospetti, al limite dell’inverosimile, nei confronti del presidente statunitense Donald Trump (accusato inizialmente di essere un miliardario sboccato, sessista e politicamente incompetente, ora additato dai suoi oppositori come un traditore della patria al soldo del nemico russo, che si vorrebbe portare alla sbarra e mandare a casa per indegnità) a noi italiani, che politicamente siamo sempre un passo avanti agli altri, dovrebbe ricordare qualcosa di già visto e sperimentato: la parabola politica di Silvio Berlusconi.

Considerato politicamente un alieno, estraneo ai valori della Costituzione repubblicana, anche quest’ultimo nel corso degli anni fu accusato di ogni possibile nefandezza (dalla smodatezza sul piano dei comportamenti privati al fatto di intendersela coi peggiori dittatori) da avversari che, non riuscendo a neutralizzarlo attraverso il voto popolare, preferirono percorrere nei suoi confronti la strada della denigrazione morale, del martellamento a mezzo stampa, della mobilitazione nelle piazze e dell’impeachment giudiziario. 

La democrazia, stando ai manuali, è il fisiologico alternarsi al governo di leader e partiti, tutti egualmente legittimati a ricoprire quel ruolo, deciso dagli elettori. Ma cosa capita quando la parte perdente, ovvero momentaneamente all’opposizione, convinta magari di rappresentare il lato giusto della storia e i valori autentici di libertà e giustizia, non accetta il verdetto delle urne e ricorre ad ogni mezzo pur di metterlo in discussione o modificarlo? Non si rischia, delegittimando chi si trova legittimamente al potere, di inficiare la stessa procedura democratica e di alimentare la sfiducia collettiva nei confronti di quest’ultima?

È quel che sta capitando in America, dove la sinistra liberal e cosmopolita, quella dei campus, dei grandi giornali d’opinione, di Hollywood e dell’industria legata a internet, non si rassegna all’idea che alla Casa Bianca possa sedere, anche solo per quattro anni, un uomo visto come un tribuno tracotante, culturalmente gretto e dai modi insopportabilmente volgari. E’ quel che è accaduto in Italia per quasi un ventennio, dove pezzi importanti della sinistra e dell’establishment politico-burocratico-finanziario non hanno mai accettato il pensiero che a Palazzo Chigi (ma nemmeno in Parlamento) potesse trovarsi quello che consideravano un barzellettiere, un imbonitore e un affarista senza scrupoli.

Le democrazie contemporanee sono alle prese con molti problemi: dalla crisi della finanza pubblica che rende impossibili le generose politiche distributive del passato alla perdita di ruolo e di legittimità dei partiti e degli altri attori collettivi (a partire dai sindacati) che un tempo erano il perno del sistema della rappresentanza. Ma ad essi, come mostrano gli esempi da cui siamo partiti, dovremmo aggiungere anche il fatto che in molte democrazie odierne non solo non funziona più il tradizionale equilibrio dei poteri, ma si è anche determinato un corto circuito tra di essi che ne minaccia sempre più la stabilità e la funzionalità. 

Se è vero, come si dice con preoccupazione, che oggi gli esecutivi tendono a sottrarsi al controllo parlamentare e ad avocare a sé il massimo dei poteri e delle funzioni (divenendo sempre più personalizzati e monocratici) e che le assemblee rappresentative non hanno più un rapporto virtuoso e funzionale con il corpo sociale che le esprime, è altrettanto vero che l’ordine giudiziario, nato per sancire gli atti illeciti in modo politicamente imparziale, ha ormai la tendenza ad operare nei confronti delle istituzioni democratiche e dei suoi attori come una specie di potere tutelare e nei confronti della società come un supremo guardiano della morale pubblica: esso non reprime solo i reati, ma punta a indirizzare secondo il proprio codice etico i comportamenti individuali e collettivi.

Così come sembra essere venuto meno quel ruolo formativo dell’opinione pubblica e di coscienza critica nei confronti di chi esercita il potere che tradizionalmente spettava al sistema dell’informazione, divenuto ormai in molte sue espressioni odierne un protagonista a pieno titolo della lotta politica tra gruppi, fazioni e partiti. Quante campagne di stampa contro questo o quel politico sono state condotte negli ultimi anni, ricorrendo magari ad insinuazioni infamanti e denigratorie, per amore della verità o per assolvere ad un dovere deontologico nei confronti del pubblico? E quante – nate sulla base di un’intercettazione acquisita illegalmente, di una fuga di notizie pilotata ad arte o di un semplice rumore – hanno invece perseguito una finalità puramente politico-strumentale e sono state impostate sfruttando la forza amplificatrice dei social media, dove le notizie, una volte immesse, circolano ormai senza che nessuno le possa smentire, contestare o sottoporre ad un vaglio critico? 

In questo momento in Italia ci si sta affannando intorno ad una legge elettorale in grado di garantire un esecutivo minimamente stabile e duraturo. Ma rischia di essere un’illusione, dal momento che l’esperienza storica e la cronaca ci dicono che per mettere in crisi un equilibrio di potere, liquidare o indebolire un leader politico, creare una situazione di caos istituzionale, serve oggi assai poco: una calunnia ben confezionata, un sospetto che nessuno si prende poi la briga di verificare, un’ipotesi di reato anche solo semplicemente ventilata. Quanto basta insomma per suscitare la pubblica indignazione contro il potere (senza rendersi conto che è proprio questo il propellente emotivo del populismo dilagante) e alimentare il convincimento che sia in corso una battaglia per salvare la democrazia. Quando in realtà i veri pericoli che incombono sulla politica odierna sembrano di tutt’altro tipo: dalla ormai costante messa in discussione degli esiti della competizione democratica quando non sono conformi ai nostri desideri alla manipolazione della pubblica opinione ad opera di chi controlla le fonti d’informazione o è in grado di agire su di esse. Se sembrano discorsi fumosi basta guardare alle polemiche italiane di questi giorni – dal caso Renzi (padre e figlio) al caso Boschi (padre e figlia) – e tutto probabilmente apparirà più chiaro. 
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