L’analisi/La disoccupazione ai minimi dal 2012

di Marco Fortis
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Sabato 30 Aprile 2016, 00:05
Il mese di marzo si è chiuso, dice l’Istat, con 90 mila occupati in più rispetto a febbraio. Sono diminuiti i disoccupati (-63 mila) e anche gli inattivi (-36 mila). Il tasso di disoccupazione<CW-25> è sceso di tre decimali in un mese, dall’11,7% all’11,4%, valore che non si vedeva dalla fine del 2012. Inoltre, anche il tasso di disoccupazione giovanile tra febbraio e marzo è diminuito sensibilmente, addirittura di un punto e mezzo, passando dal 38,2% al 36,7%. Numeri rassicuranti per l’economia italiana, che smentiscono le previsioni funeste di un possibile “sgonfiamento” degli effetti delle decontribuzioni e del Jobs Act avanzate da alcuni analisti. L’occupazione, infatti, si è irrobustita, sia quantitativamente sia qualitativamente. Indubbiamente sono ancora tanti i posti di lavoro che mancano all’appello rispetto a quelli persi durante la crisi, ma, dopo aver toccato il fondo tra il 2013 e l’inizio del 2014, i miglioramenti sin qui conseguiti si dimostrano solidi e di rilevante entità.

Per dare una idea di ciò che è avvenuto sul mercato del lavoro italiano negli ultimi due anni basterà ricordare che il tasso di disoccupazione totale aveva toccato un massimo del 13,1% nel novembre 2014 ed ora è più basso di 1,7 punti. Mentre il tasso di disoccupazione giovanile, che era salito in misura assai preoccupante fino al 43,5% nel marzo del 2014, oggi è inferiore rispetto a quel picco di ben 6,8 punti. Abbiamo scritto più volte su queste colonne che i dati mensili sull’occupazione e sulla disoccupazione, che originano da stime e da manipolazioni statistiche esposte a continue rettifiche, vanno sempre valutati con grande cautela. Per orientarsi è dunque meglio guardare alle medie trimestrali e alle tendenze di medio-lungo periodo piuttosto che assistere tutte le volte all’immancabile scontro tra “gufi” e ottimisti nell’interpretazione delle ultime statistiche sfornate dall’Istat. Le quali, quasi sempre, un mese salgono e quello dopo cadono; senza dimenticare che le rettifiche dei dati, non di rado, possono essere persino di segno opposto rispetto alle stime preliminari formulate il mese precedente.
 
Proviamo pertanto a tracciare un bilancio della situazione del mercato del lavoro in Italia sulla base di tendenze consolidate e non degli oscillanti dati mensili. Del tasso di disoccupazione totale e giovanile in calo strutturale abbiamo già detto più sopra. Riguardo alla occupazione, invece, il primo elemento da considerare è che in base ai dati destagionalizzati il numero totale degli occupati, rispetto a febbraio 2014, è cresciuto sino a marzo 2016 di 398mila unità. Il secondo elemento da tener presente, ancor più significativo, è che le medie mobili degli ultimi 3 mesi, sull’arco dello stesso periodo, ci dicono che la crescita dell’occupazione consolidata (non soggetta all’erraticità dei valori mensili) è stata di circa 340mila posti di lavoro. Le statistiche mensili, in altre parole, possono anche procedere a dente di sega, un mese su e l’altro giù. Magari il prossimo mese l’Istat ci dirà che gli occupati saranno nuovamente diminuiti, come aveva già rilevato nel mese di febbraio.

Ma le medie mobili degli ultimi tre mesi, le quali “piallano” questi apparenti alti e bassi ed indicano il trend di fondo, parlano chiaro. Il progresso consolidato del mercato del lavoro italiano negli ultimi due anni è stato molto forte: significa avere pressoché recuperato completamente i livelli occupazionali precedenti l’austerità del 2012-inizio 2014. Il terzo elemento che si può rilevare è che, al di là dell’andamento anomalo dei dati mensili nel 2015, dovuto alle misure straordinarie per le decontribuzioni e al Jobs Act, tutta la nuova occupazione creata sino all’estate dello scorso anno è fondamentalmente stabile, cioè non si sta affatto “sgonfiando”. Negli ultimi mesi, è vero, l’occupazione precedentemente aumentata così velocemente per effetto degli stimoli di politica economica non è più cresciuta, anche per il temporaneo rallentamento della crescita del Pil nel terzo e quarto trimestre del 2015. Ma il mercato del lavoro non si è per nulla contratto. Infine, il quarto elemento da considerare è l’impatto delle decontribuzioni e del Jobs Act sulla composizione dell’occupazione. Il dato che balza all’evidenza è che rispetto a febbraio 2014 gli occupati dipendenti a tempo indeterminato sono aumentati sino a tutto marzo 2016 di 353mila unità. Vale a dire che su una crescita complessiva di 398mila posti di lavoro nel periodo considerato, l’89% di tale aumento è derivato da occupazioni stabili. Vi è dunque stato anche un miglioramento qualitativo consistente del mercato del lavoro, con meno posti “precari” rispetto al passato. I critici sostengono che ciò ha avuto un costo finanziario. Ma bisognerebbe allora valutare anche il costo di una ipotetica mancata azione sul mercato del lavoro in termini di ripresa economica inevitabilmente più fragile e di maggiore disagio sociale. E’ lapalissiano che il Governo con il Jobs Act e le decontribuzioni ha fatto una chiara scelta politica. Ma a fare scelte chiare e a metterci sopra la faccia serve, per l’appunto, la politica.

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