Paura della paralisi/Passo avanti sull’unica rotta possibile

di Romano Prodi
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Domenica 26 Marzo 2017, 00:09
Dagli incontri celebrativi non si possono aspettare grandi decisioni. Roma splendente di sole e di bellezza ha però aiutato a creare un clima di cooperazione che non si era notato nelle ultime riunioni di Bruxelles. Non ci si poteva attendere alcuna decisione immediatamente operativa, ma sia il comunicato finale che gli interventi dei massimi leader hanno messo in rilievo una forte volontà di lavorare insieme, come se la memoria dei padri fondatori (rinnovata nelle aule del Campidoglio dai commoventi filmati di allora) fosse di monito ai governanti che si accingevano a firmare la dichiarazione comune. 

Un comunicato non generico, come dimostrano le infinite discussioni che hanno accompagnato la sua redazione, ma una pagina nella quale sono scritte alcune chiare linee d’azione per una ripresa della futura politica europea. Due sono gli impegni di maggiore rilevanza: costruire un’Europa più socialmente responsabile e un’Europa più forte dal punto di vista della sicurezza e della difesa.

Ancora più rilevante risulta l’affermazione che, in mancanza dell’unanimità, questi obiettivi possono essere perseguiti «con ritmi ed intensità diverse», purché si cammini nella stessa direzione e vengano lasciate le porte aperte ai Paesi che intendano successivamente partecipare alla cooperazione rafforzata.
Si chiarisce quindi in modo definivo che, nella volontà dei massimi responsabili europei, le cooperazioni rafforzate non sono e non saranno uno strumento per creare club esclusivi ma collaborazioni aperte. Un modo per andare avanti anche senza quell’unanimità che oggi, in troppi casi, è difficile da raggiungere. 

I discorsi che hanno accompagnato la firma (da Gentiloni a Juncker, dal primo ministro maltese al presidente del Parlamento Tajani) hanno tutti marciato nella stessa direzione, sottolineando la volontà delle istituzioni da loro presiedute di impegnarsi in una battaglia comune, così da porre fine alla troppo lunga paralisi europea. Il presidente del Consiglio europeo, il polacco Tusk, vi ha aggiunto qualcosa in più, segnalando che, pur ancora relegata all’opposizione, vi è una Polonia che rimane fedele agli ideali di libertà, democrazia e cooperazione che sono stati fondamentali nella lotta di liberazione dall’egemonia sovietica. Gli stessi ideali che le hanno permesso di raggiungere, attraverso la solidarietà europea, un livello di benessere e sicurezza che mai vi era stato in tutta la storia della Polonia.
Un discorso che ha alimentato la speranza che, anche nei Paesi in cui le nostalgie nazionalistiche e le tentazioni di chiusura sono più vive, il richiamo europeo potrà di nuovo rinnovare la propria attrazione. 
Dalle sale del Campidoglio è partito il richiamo ad un metodo di lavoro che, pur proclamato in ogni circostanza, non sempre è stato seguito dalle burocrazie europee, cioè quello di non mettere il naso anche negli aspetti più minuti e personali della vita dei cittadini. Nelle ultime righe del comunicato congiunto si legge infatti che «l’Unione Europea deve essere grande nelle grandi decisioni e piccola nelle piccole decisioni».
Mi sembra questo il modo migliore per esprimere il principio di “sussidiarietà” che, pur con un sostantivo un poco desueto, rende omaggio al ruolo delle nazioni, delle regioni, dei comuni e di tutte le istituzioni che, essendo vicine ai cittadini, ne conoscono meglio esigenze e problemi. 

Abbiamo quindi assistito a una cerimonia che è stata qualcosa di più di una celebrazione e che ha segnato l’impegno per una nuova volontà di collaborazione e per un nuovo metodo di lavoro. Il futuro ci dirà se questa è stata solo una parentesi o se segnerà l’inizio di una nuova politica. Quello che mi è sembrato percepire dall’atmosfera e dai brevi scambi di opinioni con alcuni dei partecipanti è che la paura della paralisi che ha dominato la vita europea degli ultimi anni prevalga finalmente sulla ritrosia finora dimostrata nell’affrontare le decisioni necessarie per portare nell’Unione Europea un maggiore dinamismo ed una maggiore solidarietà. 
Non aspettiamoci naturalmente decisivi passi in avanti prima dei prossimi appuntamenti elettorali ma credo che l’incontro di Roma abbia fatto intendere che, già dai prossimi mesi, le cancellerie cominceranno a riflettere sulla prospettiva di dare vita a cooperazioni rafforzate, probabilmente nel campo della difesa, dell’energia, dei grandi progetti scientifici e, mi auguro, anche su qualche progetto nel campo delle migrazioni e della cooperazione economica. 

Non abbiamo bisogno di ricordare che le celebrazioni sono per definizione piene di buoni propositi, ma devo riconoscere che l’incontro di Roma ha dimostrato una volontà di metterli in atto superiore alle previsioni dei giorni scorsi. Finirò queste mie osservazioni sulle conclusioni firmate in Campidoglio ripetendo il noto proverbio che «se sono rose fioriranno»; anche se, probabilmente, non fioriranno contemporaneamente nei giardini di tutti i Paesi europei.
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