Giovanni Toti: «Regioni, più autonomia: ora un patto nazionale»

Giovanni Toti: «Regioni, più autonomia: ora un patto nazionale»
di Emilio Pucci
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Domenica 23 Luglio 2017, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 22:19
Si individui subito un percorso di riforma costituzionale», le forze politiche stringano «un patto nazionale, largo, alla luce del sole», bene ilreferendum indetto in Veneto e Lombardia, «sia uno stimolo per tutti».
Anche Giovanni Toti, governatore della Liguria, chiede «maggiore autonomia per le Regioni» ma investe tutti i partiti ad «una assunzione di responsabilità».

Qual è la sua proposta?
«Bisognerebbe mettere mano alla Costituzione. Una parte delle tasse dovrebbe restare alle Regioni, per progetti locali, per migliorare le infrastrutture per esempio. Si e' detto che serve una condivisione ampia sulla riforma elettorale ma anche il tema del rapporto tra lo Stato e le Regioni è di respiro nazionale. Ci sia al più presto un tavolo di confronto e penso anche al Movimento 5 stelle, non solo al Pd e alle altre forze. Noi abbiamo come sede per discuterne la Conferenza Stato-Regioni ma il Parlamento è sovrano, trovi uno strumento per cambiare le cose».

Il suo sembra un manifesto elettorale?
«No, su questo tema non sono utili le strumentalizzazioni. Certo se potessi contribuire alla costruzione di un programma vorrei Regioni più autonome, con maggiori poteri anche di ordine pubblico. Margini di azione sulla fiscalità, sui piani energetici e industriali, sugli investimenti. Più periferia e meno centro. Il voto del 4 dicembre ha dimostrato che gli italiani sono sempre più autonomisti e federalisti, l'ipercentralismo dal governo Monti in poi non ha funzionato. Non ha certo portato ad una maggior razionalizzazione della spesa. Sarebbe meglio tornare alla riforma Berlusconi del 2006».

E' quindi una posizione da esponente di centrodestra?
«No, basta propaganda. Le persone serie che amministrano questo Paese, e mi riferisco anche ai parlamentari di ogni forza politica, sanno che l'equilibrio istituzionale dell'Italia ha bisogno di un tagliando potente. Chi dice il contrario lo fa con una carica di malizia insopportabile. Il nostro è un Paese che sta avanzando nella sabbia. Le Regioni hanno mantenuto potere ma non hanno accesso ai fondi, le province non sono mica state abolite, hanno competenze importanti, penso per esempio alla manutenzione delle strade, ma non hanno soldi e sono senza governance. E' difficile far partire le opere, i fondi sanitari potrebbero essere divisi su criteri migliori, serve un sistema piu' efficiente e regole vincolanti come i costi standard. I nostri centri dell'impiego funzionano peggio di prima. Anche i governatori del Pd ne sono consapevoli. Certo se Renzi ha una visione diversa, saranno gli elettori a scegliere».

Ma il Pd ritiene che il referendum del Veneto e della Lombardia sia una farsa.
«E' sbagliato, non si può far finta di nulla. Sara' un colpo di gong, un calcio d'inizio per far partire il dibattito nella prossima legislatura. Il Pd non può stare con il broncio per aver perso sul referendum costituzionale. Non può dire muoia Sansone con tutti i filistei».

Considera quindi il 22 ottobre una data importante?
«Costringerà la politica a discutere degli equilibri istituzionali. Il sì dei lombardi e dei veneti sarà fondamentale. Dopo i 4 dicembre c'è chi ritiene che non si possano più fare le riforme. Non è così».

Eppure c'è chi colpevolizza proprio le Regioni
«Le Regioni sono delle macchine nel passato danneggiate anche da scandali ma si sono messe a dieta, stanno facendo grandi sforzi anche con i piani pluriennali. Noi per esempio contiamo di raggiungere un disavanzo finanziario sanitario pari a zero a fine legislatura. Lo Stato centrale invece ha fatto poco».

C'è chi dirà: la solita accusa allo Stato centralista...
«Gli italiani non amano il centralismo. Diciamoci la verità, lo Stato centrale da quando è nata la Repubblica non è stato spesso un esempio di buon governo. Il potere centrale non viene visto con simpatia dai cittadini, non è un caso che gli italiani stimino di più i sindaci che i palazzi romani».

Ma non si rischia di far saltare il patto di unità nazionale?
«Non è un tema di Sud contro Nord. Serve un patto di mutua assistenza. Non credo che le regioni del Sud possano far a meno del traino delle regioni del Settentrione e viceversa. Il sistema solidaristico non deve venire meno. Noi abbiamo fatto molte partnership con diverse regioni del Sud, per esempio con la Campania. Il tema vero è che andando avanti così non si garantiscono le Regioni del Meridione e si penalizzano quelle del nord che possono dare una spinta al Paese. Ripeto, ci vuole una maggiore autonomia, anche discutendo di aggregazioni regionali. I fondi strutturali restano a Roma, le decisioni strategiche restano a Roma... Basta, è necessario cambiare attraverso un federalismo spinto».

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