Gli impegni disattesi/Il referendum o sempre ostaggi delle minoranze

di Oscar Giannino
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Sabato 17 Giugno 2017, 00:31
Ieri è stato il centoquarantesettesimo giorno in un anno di sciopero nel trasporto pubblico locale, e il trecentosessantaduesimo sommando anche gli scioperi nel trasporto nazionale, ferroviario e aereo (ieri scioperava anche Alitalia). Sì, non è un errore: sommandoli tutti, ci sono più giorni di scioperi nei trasporti che giorni in un anno. Il sequestro del diritto alla mobilità di milioni di italiani è avvenuto ieri in maniera asimmetrica. In città come Milano erano operative quattro linee di metro su cinque, e anche il trasporto di superficie ha subito poche limitazioni. A Roma erano ferme tre linee di metro su tre, e anche il trasporto pubblico di superficie era alla paralisi. 
Non solo pesano le diverse percentuali locali di adesione a chi ha proclamato lo sciopero, cioè i sindacati di base e non i confederali. Astensioni dal lavoro così asimmetriche confermano in pieno l’eterno punto irrisolto della legge che disciplina il diritto di sciopero, la 146 del 1990. Da anni scriviamo che la questione è chiara. 

Non bastano più il vecchio codice di disciplina sui giorni minimi di preavviso per comunicare gli scioperi, i divieti per quelli a scacchiera, le previste procedure di raffreddamento delle vertenze. E sono inefficaci, i molteplici codici e accordi di autodisciplina di settore. 
<HS9>Non si tratta assolutamente di proibire lo sciopero nei servizi essenziali. Bisogna semplicemente contemperare due diritti distinti: quello dei lavoratori a scioperare, se però non è una minoranza a imporlo; e quello dei cittadini e delle imprese a non vedersi impedito il diritto alla mobilità, al lavoro, alla logistica di beni e servizi. 

Si tratta cioè semplicemente di prevedere come necessario, per poter proclamare uno sciopero, il voto preventivo a scrutinio segreto dei lavoratori. È più efficace questa semplice norma di ogni requisito minimo di rappresentanza sindacale, che conta di più invece per identificare i criteri di partecipazione alla trattativa di contratti e accordi aziendali, in cambio del fatto che chi li firma diventa poi responsabile della loro esigibilità. 


<HS9>Bisogna prevedere il referendum obbligatorio. Come avviene del resto oggi in 17 paesi dell’Unione europea: non c’è in Francia né Spagna, ma c’è in Danimarca, Germania, Olanda, Portogallo, Regno Unito, in tutti i paesi est europei e baltici. Solo fissando il criterio – nei servizi pubblici – di un voto preventivo favorevole del 50,1% dei lavoratori, e non dei delegati sindacali, si può del resto venire a capo non solo dell’eccesso di scioperi nazionali il venerdì, ma anche e innanzitutto di vere e proprie situazioni impazzite come quella dell’Atac a Roma, dove a bloccare la Capitale innumerevoli volte sono state sigle che non firmano - a differenza dei confederali - i piani industriali aziendali, per poi fare propaganda scioperante a spese dei cittadini e dell’economia nazionale. 
Ieri Renzi ha definito lo sciopero «uno scandalo». E ha ammesso che è stato sicuramente un errore, non intervenire sulla legge 146. Anche perché, aggiungiamo noi, l’impegno dal suo governo era stato preso esplicitamente. «Non si possono lasciare a piedi centinaia di migliaia di persone, bloccando il trasporto aereo e le città. È grave che una minoranza poco numerosa condizioni la vita di intere collettività, quando la stragrande maggioranza dei lavoratori ha opinioni diverse. Dobbiamo darci nuove regole, intervenendo sulla legge in materia di diritto di sciopero e sugli accordi di settore. Stiamo parlando con le Autorità dei Trasporti e con l’Autorità di garanzia sugli scioperi, subito dopo assumeremo le decisioni del caso». Era il 15 aprile 2015, e così parlava il ministro Delrio, in un’intervista al Messaggero. Dicendosi favorevole al voto preventivo con un minimo del 50,1% di favorevoli, per poter proclamare uno sciopero nei trasporti. 

<HS9>Che fine ha fatto quell’impegno? Lo sappiamo. Il governo Renzi ha subito l’attacco duro di una parte del sindacato su partite che considerava più importanti, come il Jobs Act e la riforma della scuola, e ha preferito a quel punto non intervenire sullo sciopero. Ha sbagliato. Chissà se Gentiloni se la sente di porre rimedio, visto che Delrio sempre ministro è.
<HS9>Anche perché è la ragione dichiarata dello sciopero di ieri, a interrogare ulteriormente il governo. I sindacati di base hanno messo nel mirino le presunte “privatizzazioni” che sarebbero in arrivo nel trasporto pubblico locale.

Quando il segno della politica è esattamente opposto. 
<HS9>Il nuovo corso delle Ferrovie dello Stato è quello di espandersi il più possibile nel tpl assumendo direttamente partecipazione e controllo nelle imprese di trasporto locale. Lo ha fatto a Firenze con Renzi, e per questo Mazzoncini è alla testa di Fs, lo ha appena fatto entrando nella metro milanese con la linea M5, vuole farlo in Lombardia acquisendo il controllo di Trenord. Lo ha fatto in Puglia con le Ferrovie SudEst, vuole farlo a Roma chiedendo esplicitamente che il trasporto pubblico locale venga messo a gara come dovunque, certo che a quel punto sarà Fs a vincerla. E lo stesso chiede a Napoli, per le ferrovie urbane e le autovie gestite da Eav. 

Come si vede, il fantasma delle privatizzazioni sta solo nella testa dei sindacati che ieri hanno scioperato, è stato un puro pretesto. Nella manovrina appena votata è tornato a prevalere il no a Flixbus, altro che spazio nel trasporto pubblico ai privati innovatori. E del resto, a Roma come a Napoli i guai finanziari dell’Atac, dell’Eav e dell’Anm sono enormi. Sarà molto difficile, per i sindaci Raggi e De Magistris, reperire in bilancio le risorse necessarie per la copertura dei debiti e per il rilancio in termini di nuovi investimenti necessari a recuperare i devastantl gap accumulati dalle municipalizzate. E’ per questo, che a Roma molti esponenti del Pd hanno esplicitamente fatto propria la proposta lanciata dai radicali, di una vera gara sul tpl, al posto della mera convenzione in house che lo affida ad Atac.
<HS9>Come si vede, in conclusione, la riforma del diritto di sciopero nei trasporti non è solo una misura di civiltà. E’ anche un passo essenziale perché l’intero settore torni a logiche di efficienza e sia un volano di sviluppo, non più un ostacolo irriducibile alla crescita e un calvario per i cittadini.

 
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