Il carteggio Italia-Ue/ L’incognita investimenti nell’Europa del disgelo

di Giulio Sapelli
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Martedì 18 Novembre 2014, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 00:15
C’è davvero sostanza dietro il riavvicinamento tra il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e il premier Matteo Renzi, quest’ultimo in qualità di presidente di turno della Ue?



La lettera rivelata domenica dal Messaggero, nella quale il primo chiede di unire le forze per rilanciare la crescita in Europa, sembra farlo credere di là dei cenni formali di cui è caricata. E conforta anche il fatto che proprio ieri sia apparso sul Financial Times un articolo molto significativo di Wolfgang Munchau.



Non credo di essere un provinciale, lo cito solo perché è esemplare per comprendere ciò che sta succedendo in Europa. Il titolo dell’articolo è di per sé un programma: “The wacky economics of Germanie’s parallel universe”. In esso si nomina finalmente la fatidica parola che solo su queste colonne da tempo si va evocando: ordoliberalismus. Ossia quella dottrina per cui si deve scrivere nelle costituzioni nazionali i dettami del divieto del deficit statale, dell’obbligo del pareggio di bilancio, del dogma del libero mercato. Un liberalismo statalistico, dunque, che nessun liberale potrebbe far suo.



Munchau, come chi scrive, addebita alla Germania l’errore di aver imposto a tutti gli Stati dell’Unione Europea questa dottrina con le tragiche conseguenze che oggi sono dinanzi a noi. Peraltro, è curioso il fatto che questo articolo coincida con il disvelamento dei rapporti epistolari tra Juncker e il presidente pro tempore dell’Unione, dopo giorni di tensione tra Roma e Bruxelles.



Va inoltre sottolineato che la nomina di Juncker, lo si ricorderà, è stata consustanziale all’impegno che quest’ultimo ha assunto in modo pubblico di dare vita a una manovra economica - fondata su alcune centinaia di miliardi da destinare alla realizzazione di infrastrutture - quale mai sino ad ora si era potuta ipotizzare nel Vecchio Continente. Già solo la promessa fu una sconfessione delle dottrine dell’ordoliberalismus e una sorta di ribellione al diktat tedesco di matrice popolare. Quale sia poi lo strumento con cui tali promesse dovranno tradursi in realtà, lo dirà il negoziato politico in corso tra Renzi e lo stesso Juncker.



Tuttavia, non a caso si nomina la Banca europea degli investimenti (Bei), ossia un istituto finanziario sino ad oggi assai poco utilizzato nel clima di austerità dominante. È infatti opportuno che si cominci a parlare di strumenti più sofisticati e anche più idonei a investimenti massicci che rivestono un interesse di sistema. E chissà che l’intervento della Bei non riesca a risvegliare gli interessi comunitari per i tanto agognati Eurobond.



In ogni caso, per ora accontentiamoci del fatto che si è cominciato a cantare un’altra canzone, ben diversa da quella dei Totenlieder di Gustav Mahler, perché non vogliamo fasciarci la testa e darci per sconfitti prim’ancora che la contesa sia iniziata.



Giova però ricordare che questa speranza di invertire la rotta è nata non a caso nel corso del G20 che si è svolto in Australia. Si notino tre cose. La prima: fuori di metafora, la riunione è finita con un nulla di fatto, se non i soliti auspici a favore della crescita. La seconda: mentre la riunione si svolgeva, Vladimir Putin faceva solo una fugace apparizione e contemporaneamente la flotta russa compiva esercitazioni nelle acque australiane, così da sottolineare che meno si cresce - grazie alle idee di una Germania le cui certezze finalmente cominciano a traballare - più si incoraggiano le spinte aggressive russe.



La terza: nel mentre si svolgevano i lavori a Brisbane, a Shangai gli sherpa dei ministeri economici dei Briics (Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica) ponevano le basi per quello che dovrà essere il complesso delle nuove istituzioni economiche che quei Paesi vogliono darsi in alternativa al Fondo monetario internazionale (Fmi), presso la Banca Mondiale. (E in definitiva, chissà, persino l’Unione Europea potrebbe cominciare a pensarci, se non cambierà in profondità la sua politica economica che rischia - lo sanno bene gli Stati Uniti - di far precipitare in una stagnazione secolare il mondo intero).



Inserito in questo contesto, il negoziato che si spera non sia solo epistolare tra Juncker e Renzi acquista un valore che potrebbe definirsi storico. Perché travalica l’importanza, nemmeno questa da sottovalutare, dei duemila progetti imprenditoriali finanziati dalla Bei che il nostro ministero dell’Economia ha deciso di sottoporre a Bruxelles per un totale di 40 miliardi di euro. Dietro il disgelo si intravede infatti un modo diverso di affrontare il tema della flessibilità da accordare ai governi europei nella realizzazione dei loro piani di spesa.