La nostra battaglia/ Una vittoria del realismo che limita danni al Paese

di Marco Gervasoni
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Lunedì 17 Luglio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10:59
Un’estate torrida: sbarchi massicci e senza fine di migranti, rivolte dei sindaci e delle popolazioni, prefetti e questori (cioè, lo Stato) in gravi ambasce. No davvero, «non ci sono le condizioni» per approvare lo ius soli, ha dichiarato nel tardo pomeriggio di ieri il presidente del Consiglio. Certo, Gentiloni ha aggiunto che le cause stanno nei disaccordi interni alla maggioranza, nel sovrapporsi dei lavori parlamentari e ha comunque assicurato che la legge sarà approvata dopo l’estate. 

Un posticipo che ci auguriamo suoni come una campana a morto per questa legge. Che sarebbe stata discutibile anche se, sui porti del mezzogiorno d’Italia, non si fossero riversate quelle fiumane umane che tutti abbiamo visto. Quella sullo ius soli è infatti una legge nata male, costruita a colpi di diktat, con la solita pretesa, da parte della sinistra, di rappresentare la «ragione» e la « civiltà» contro la barbarie e l’oscurantismo.
Non è così. Su queste colonne, non un bieco razzista ma un liberale a tutto tondo come Carlo Nordio ha spiegato, pochi giorni fa, perché sia del tutto irragionevole insistere su questa legge, che finirebbe inevitabilmente per diffondere urbi et orbi l’idea che l’Italia sia un Paese aperto e desideroso di accogliere; e lancerebbe un segnale contraddittorio alla Commissione Ue, alla Germania, e alla Francia. Merkel e Macron, legittimamente, si stanno chiedendo come mai Roma implori il loro aiuto per bloccare gli arrivi.

Ma poi, nello stesso tempo, il governo insista su una legge che renderebbe cittadini i figli dei migranti. Di più, è notizia di ieri che, guarda caso, negli sbarchi degli ultimi giorni si sarebbe alzato notevolmente il numero delle donne gravide: i cui figli nascerebbero quindi sul suolo italiano. A queste argomentazioni si potrebbe aggiungere anche una questione di metodo. 
Lo ius soli è una legge che modifica la nozione di cittadinanza e lo stesso corpo elettorale: è possibile approvarla con l’uso della fiducia? Sì, tecnicamente lo è, ma si tratterebbe di una grave violazione della prassi democratico-liberale. E rappresenterebbe un precedente pericoloso: un domani, una diversa maggioranza potrebbe, con lo stesso spirito, modificare a colpi di fiducia cittadinanza e profilo del corpo elettorale. Un altro buon motivo che ha condotto Paolo Gentiloni sulla strada del buon senso e del realismo sta nella la presa d’atto che la maggioranza degli italiani è contraria allo ius soli. Lo hanno illustrato numerosi sondaggi: uno dei più precisi, quello Euromedia con cui questo giornale ha aperto l’edizione del 13 luglio, mostra non solo che il 53% degli italiani è contrario, ma pure che il 58% di loro è ben informato sulla legge. 

Ognuno è libero di pensare che il popolo sia bue e che solo le minoranze illuminate vadano ascoltate: un ragionamento tuttavia pericoloso (e pure irresponsabile) se per mestiere si fa il politico, e magari si è rosi dall’ambizione di vincere le elezioni. Certo poi, come disse a suo tempo Tony Blair motivando l’ingresso del Regno Unito nella guerra contro l’Iraq, il vero leader deve intraprendere anche decisioni impopolari: però poi Blair ha perso il potere e il suo partito non è mai più tornato al governo. Il Pd, che gli ultimi sondaggi danno repentinamente in discesa, questo problema dovrebbe porselo. 
Non crediamo insomma opportuno, in questo momento di reale emergenza, spaccare il paese su una legge, per certi aspetti peraltro inutile, attorno a un dossier in fase di ripensamento pure in paesi dotati di ius soli da tempo immemore (Stati Uniti e Francia). Nella scala delle priorità di fine legislatura, con gli italiani preoccupati non solo dagli sbarchi, ma anche da altre, più corpose questioni (it’s the economy stupid), da parte del governo perseverare, in un autunno che già si annuncia difficile, sarebbe non un crimine; di più, un errore.
 
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