Legge elettorale, Prodi riapre i giochi post voto

Legge elettorale, Prodi riapre i giochi post voto
di Mario Ajello
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Lunedì 19 Febbraio 2018, 07:54

Teoricamente, sarebbero d'accordo tutti con Romano Prodi. Ossia con il fatto, notato ieri dal Professore sul Messaggero, che il Rosatellum è una brutta legge elettorale. In effetti, è venuta fuori un po' per non deludere il presidente Mattarella; un po' perché non c'erano i numeri per farne un'altra; un po' perché non dando probabilmente la maggioranza parlamentare a nessuno, e la possibilità di fare un governo forte dopo il voto, garantisce più o meno tutti questo strano intreccio proporzionale-uninominale condito di pluricandidature assai comode per i vertici dei partiti.

LA CERTEZZA DEL CAV
La base dell'editoriale di Prodi insomma è la demolizione del Rosatellum, considerata legge debole per un'Italia debole, e fin qui ci siamo. Ma poi? Da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, da Luigi Di Maio ai Liberi&Uguali, in questa fase non può che vincere su ogni altra considerazione l'urgenza di fare fruttare al massimo l'attuale legge e cercare di vincere, anche se è un parolone, con quella o almeno sperare che si riveli d'aiuto per un partito (il mio) contro un altro (il tuo) o per una coalizione (la nostra) contro un'altra (la vostra). Silvio Berlusconi accoglie così la proposta di Prodi, su un necessario «accordo di tutti i partiti subito dopo il 4 marzo per fare una legge elettorale in grado di dare stabilità al governo e di mettere in sicurezza l'Italia»: «Il Rosatellum è la legge - dice il Cavaliere dopo aver letto la proposta del Prof - che ci porterà a vincere tra quindici giorni. Non sarà il massimo il Rosatellum, ma noi siamo in condizione di sfruttarlo al massimo, grazie alla sua logica coalizionale. Il 4 marzo la sorpresa ci sarà, e si chiamerà centrodestra». Ma ammesso che andrà così, poi che destino dovrà avere il Rosatellum?

E' questo il nodo centrale del discorso di Prodi. Lui è convinto che le buone leggi elettorali si fanno all'inizio e non alla fine delle legislature. E lo sa bene sulla sua pelle, visto che il quinquennio 2001-2006 con il centrodestra al potere si concluse con l'approvazione del Porcellum, che riuscì ad evitare un vero successo della coalizione prodiana. E il breve governo del Prof si sarebbe rivelato infatti un calvario. Matteo Renzi l'appello lanciato ora da Prodi lo condivide, ma come dice ai suoi con estremo realismo: «Per fare una buona legge ci vogliono buoni numeri. E speriamo che questi numeri per superare il Rosatellum ci siano nel nuovo Parlamento. Come si sa, a noi questa legge elettorale non piace. E' soltanto un pochino migliore di quella uscita dalla Consulta e peggiore del sistema tedesco. Che avevamo praticamente fatto, ma Grillo purtroppo ha rovesciato il tavolo». Rimettersi al lavoro su questa materia anche il Pd lo ritiene, prodianamente, necessario. E sempre il Pd, come Prodi, ritiene il maggioritario alla francese - grande punto di forza di Macron - il metodo migliore. Ma si può fare? Berlusconi è tranchant: «La nostra priorità, e mi dispiace per Prodi, dal 5 marzo non sarà assolutamente la legge elettorale, e tantomeno una legge elettorale maggioritaria, visto che il sistema tedesco è di gran lunga preferibile. Ma noi penseremo a far ripartire l'Italia, riforme economiche, abbassamento delle tasse, leggi sul lavoro giovanile, e non a far ripartire il sistema elettorale».

IL MEZZO NECESSARIO
In casa dei 5 stelle, che pure gridavano «è l'ennesima legge porcata», il Rosatellum se vincono - è la posizione di Di Maio - resta così com'è e se perdono non sarà la legge elettorale il terreno da cui ripartire. Mentre nello schema del governo del presidente, che piace a D'Alema e Grasso, una nuova legge elettorale rientrerebbe quasi naturalmente e su quel versante non sarebbero previste barricate. Giorgia Meloni teme invece la trappola: «Quando si dice di fare subito la legge elettorale, si dice di fare un governo ad hoc. Ossia rifilarci Gentiloni per qualche tempo e poi quello resta lì per sempre».

E dunque, la ricetta Prodi divide.

Ma di sicuro, dopo le elezioni di marzo, se davvero l'ipotesi potrebbe essere quella di nuove urne a breve nel caso non avesse vinto nessuno, il mezzo per superare l'impasse dovrebbe essere una legge elettorale diversa. Ma anche se non si torna a votare subito, perché vince qualcuno o perché si trova un accordo largo per non interrompere sul nascere la legislatura, una legge va fatta e farla prima è meglio che farla dopo.

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