Il Paese in ritardo/ Un groviglio ideologico blocca le leggi sull’eutanasia

di Carlo Nordio
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Martedì 28 Febbraio 2017, 00:04
La vicenda di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, costretto a emigrare in Svizzera per poter morire con dignità, pone ovviamente molti problemi. Affronteremo i tre che ci sembrano più importanti: quello etico, quello giuridico e quello economico. Ma prima bisogna essere chiari: chi vuole mantenere le cose come stanno, si appoggia a un codice penale firmato nel 1930 da Mussolini e dal Re, che punisce con la galera fino a 15 anni l’omicidio del consenziente, e fino a 12 anni il cosiddetto suicido assistito. Se non si può fare in Italia quello che si può fare in Svizzera, è perché il medico finirebbe immediatamente incatenato. Ma torniamo al problema etico.

Secondo la Chiesa, la vita è un bene indisponibile, in quanto dono di Dio. In teoria si potrebbe obiettare che chi riceve un dono può farne quello che vuole, altrimenti non si tratta più di un regalo, ma al massimo di un prestito, o di un usufrutto. Ma la Chiesa in questo è sovrana, e giustamente insindacabile. Insindacabile, tuttavia, per chi vi aderisce, accettandone i precetti e le sanzioni. Per gli altri la questione è diversa: nessun argomento logico milita infatti contro il suicidio. Al contrario. I filosofi greci e romani lo hanno sempre giustificato: Socrate non se ne è sottratto; Cleante e Seneca lo hanno praticato; Shakespeare lo nobilitò con Romeo («con un bacio io muoio») e con l’addio virile di Bruto e Cassio. 
Così, via via, fino ai tempi recenti: la Francia pullula di monumenti a Jean Moulin, che si tagliò invano la gola, e a Brossolette che ebbe più successo gettandosi dal quinto piano per sfuggire alla Gestapo. 

Rommel lo accettò per salvare la famiglia. Altri marescialli tedeschi per salvare l’onore. No, l’etica laica non ha mai ripudiato il suicidio.
Il problema giuridico. Il nostro codice in realtà punisce il suicidio assistito non perché vietato dalla Chiesa, ma perché in contrasto con l’ideologia fascista, che riteneva il cittadino un suddito sottomesso alle funzioni dello Stato cui doveva servire. Paradossalmente, questa espropriazione del diritto all’autodeterminazione si è saldata con le due dottrine ispiratrici della Costituzione: quella marxista, secondo la quale la vita appartiene al popolo, e quella appunto cattolica che ne attribuisce il destino a Dio. Questo vincolo che unisce tre ideologie per il resto configgenti si è rivelato indissolubile: ed infatti il codice, come si è detto, resiste ancora dopo settant’anni di Repubblica. 
Con la conseguenza bizzarra che a rigor di logica, se i medici svizzeri venissero in Italia, rischierebbero l’arresto, perché autori di un grave delitto a carico di un nostro cittadino. Questo dimostra non solo il pasticcio di una normativa europea frammentaria e disomogenea, ma la stessa ipocrisia del nostro legislatore, che, pur davanti ad analoghi esempi sempre più numerosi, finge di non vederne le contraddizioni, e allo stesso tempo continua a indugiare sulle varie proposte di riforma da tempo giacenti in parlamento. 
Da ultimo, e ancor più paradossale, l’aspetto economico. Tra le sue inumane sofferenze, il povero Antoniani ha anche dovuto trovarsi i soldi per il viaggio, l’accompagnamento e, ovviamente il ricovero. E qui la tragedia diventa addirittura scandalosa e grottesca.
È possibile, è logico, che una persona mantenuta in vita contro la sua volontà, e con forti spese di assistenza e cura da parte dei familiari e della stessa collettività, debba anche faticare per trovare le risorse per porvi fine? Un tempo si diceva che, almeno davanti alla morte, tutti fossero uguali. Purtroppo ora vediamo che, per chi non ha denari, è difficile persino andarsene in pace.

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