Ma lo Stato lasci intatte le garanzie del cittadino

di Carlo Nordio
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Giovedì 14 Dicembre 2017, 00:05
Il comando generale della Guardia di Finanza ha diffuso un nuovo “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2018. Si tratta di un documento di estrema complessità che disciplina gli aspetti più delicati delle indagini tributarie. Esso dimostra la lodevole attenzione con la quale viene seguito il pernicioso fenomeno dell’evasione, che assieme alla corruzione e alla lentezza della giustizia costituisce una perdita elevatissima per la nostra economia. 

La filosofia della circolare sembra differenziarsi da quella generalmente adottata negli anni recenti, quando il rapporto tra fisco e contribuente sembrava orientarsi verso una sorta di comprensione benevola tra Agenzie delle entrate e soggetti d’imposta, entrambi interessati a una rapida definizione della partita piuttosto che ad una esatta ricostruzione, in sede contenziosa, delle fonti reddituali. Se a ciò si aggiunge la periodica ricorrenza di condoni e conciliazioni, se ne deduceva una strategia orientata essenzialmente ad una riscossione ridotta, ma rapida e certa. 

Ora le cose sembrano cambiate. Soprattutto nella parte che riguarda la ricerca, l’acquisizione, l’estrazione e l’ispezione documentale, i poteri inquisitori della Polizia tributaria sono aumentati, e comunque meno vincolati all’intervento della magistratura.

La Guardia di Finanza può infatti estrapolare dati informatici anche servendosi di strumenti particolarmente sofisticati ed invasivi , che rischiano di vulnerare quel poco che rimane della privacy delle persone. La cosa può sembrare giusta, ed in effetti è giusta, se si considera che il pagare le tasse è, come la difesa dell Patria, un sacro dovere civico, e che l’evasione, in questa prospettiva, non è altro che una sottrazione d risorse comuni, e quindi un furto a danno della collettività.

Tuttavia a questi sani ed onesti principi, che comunque devono sempre essere rispettosi delle garanzie fondamentali dei cittadini, si oppongono due considerazioni che sarebbe altrettanto giusto ricordare. Primo. L’elefantiasi della nostra normativa tributaria è, se possibile, ancora più demenziale della nostra complessiva legislazione. In Italia abbiamo oltre 200 mila leggi, circa dieci volte più della media europea. Come abbiamo scritto fino alla noia, questa dissennata proliferazione è la prima causa dell’incertezza del diritto, della lentezza della giustizia e della diffusione della corruzione. In questo colossale ingorgo normativo, le leggi, i regolamenti, le circolari e le interpretazioni vincolanti in ambito tributario sono in numero spropositato.

In un recente congresso di commercialisti qualcuno ha addirittura evocato il superamento delle 50 mila. Nessuno sa in realtà quante siano, e già questo è indicativo. Ma anche se fossero meno di un decimo, sarebbero comunque troppe, e la loro ottemperanza sarebbe impossibile. E allora come si può punire un contribuente infedele se lo Stato, per primo, non lo mette in condizione di ubbidire?

Secondo. L’attitudine dello stesso Stato verso questo contribuente è nota. Essa parte dal presupposto che chi può evadere le tasse le evade davvero, e quindi gli impone aliquote insopportabili: dovrei tassarti al 30%, ma poichè immagino che denunci la metà ti tasso al doppio, così i conti tornano. Di conseguenza ci sono professionisti che, tra imposte dirette e indirette, gabelle, contributi e altro, arrivano a pagare il 60% del guadagno. Una vera e propria istigazione all’evasione. 

Questo irragionevole pasticcio ha instaurato un sofisma vizioso tra l’uovo e la gallina. Chi deve cominciare a comportarsi bene? Lo Stato, abbassando le aliquote e sperando che si allarghi la base contributiva, o il cittadino, riducendo l’evasione e consentendo la riduzione delle imposte?

Rispondo. Questa novità sarà positiva soltanto a una condizione. Che sia accompagnata da un’equa riduzione fiscale e da una semplificazione chiara e radicale dell’intero sistema, in modo da consentire al cittadino onesto di dormire sonni tranquilli una volta che abbia onorato il suo impegno contributivo. Questa certezza oggi manca, e nessun imprenditore, nemmeno assoldando un esercito di consulenti e pagando le tasse fino all’ultimo centesimo può dirsi al riparo da accertamenti lunghi e defatiganti, e da sanzioni pesantissime anche per soli vizi formali. Il primo passo, dunque, deve farlo lo Stato.
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