Pd, Renzi non tratta. E chiude sulle alleanze

Pd, Renzi non tratta. E chiude sulle alleanze
di Marco Conti
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Lunedì 20 Febbraio 2017, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 12:40

«Volevano che noi rifacessimo la Margherita e loro i Ds, ma Fassino e Veltroni hanno chiarito che indietro non si torna e, soprattutto, che non sono loro ad essere i depositari della parola sinistra». Soddisfatto e poco propenso a ragionare su cosa faranno adesso Speranza, Rossi e Emiliano, Matteo Renzi lascia l'hotel Parco dei Principi con in braccio il Tapiro d'oro di Striscia la Notizia. A difesa del Pd e a sostenere le sue ragioni, non i super-renziani, ma le vecchie glorie dell'Ulivo e del Pd. A cominciare da Walter Veltroni che ritorna sulla scena dopo anni di assenza e si riprende la sua rivincita incassando un lunghissimo applauso da coloro che vedono ancora i baffi di D'Alema dietro la scissione.

LUOGO
Le dimissioni da segretario e l'avvio della fase congressuale sembrano sollevare Renzi dal compito di guidare un partito alle prese ora con una lunga serie di appuntamenti procedurali. «Ora è tutto in mano ad Orfini», sostiene l'ex segretario che dice di volersi concentrare sull'appuntamento del 10 e 11 marzo al Lingotto. Due giorni a discutere di programma in un luogo non casuale visto che proprio nei padiglioni dell'ex fabbrica Fiat di Torino, Walter Veltroni nel 2007 lanciò la sua candidatura a primo segretario del Pd. Un anno appena e poi il leader dell'I care fu costretto al passo indietro da Massimo D'Alema. Il ricordo che dal palco fa lo stesso Veltroni della sinistra rissosa degli ultimi vent'anni non poteva non iniziare con il 98 quando D'Alema fece cadere il governo Prodi per sostituirlo a palazzo Chigi. Stesse lotte intestine e nomi che ricorrono anche ora che la scissione sembra cosa fatta. Almeno per la sinistra bersaniana che sino all'ultimo aspetta, invano, la replica dell'ex segretario.

Lui, Renzi, è convinto di aver fatto molte concessioni pur di tenere unito il partito. I tempi del congresso sono più lunghi di quelli immaginati dall'ex sindaco di Firenze. Di voto a primavera non parla più da tempo e «il rapporto con Paolo (Gentiloni ndr) è fuori discussione», sostiene Renzi. La speranza di poter cambiare la legge elettorale resta, anche se l'ormai ex segretario non si fa troppe illusioni visti i no dei pentastellati e l'attendismo di Berlusconi. Sul punto «il più chiaro è stato Giachetti» ricorda. Il vice presidente della Camera chiede di portare in aula il sistema uninominale del Mattarellum perchè è la legge «che ci trova tutti d'accordo». Al netto delle scissioni, ovviamente. Ad avvisare i potenziali scissionisti provvede dal palco l'insolitamente poco morbido Dario Franceschini: «E' davvero difficile in un tempo così corto avere una scissione e poi andare insieme alle elezioni». Nessuna legge elettorale con premio di coalizione e comunque nessuna alleanza, quindi, per coloro che pensano di andar via. «E se se ne andranno», sostenevano a tarda sera al Nazareno dopo l'ennesima frenata degli scissionisti.

Si capisce che Renzi ha fretta di chiudere lo psicodramma per concentrarsi sulle cose da fare, ma da Emiliano persino Lorenzo Guerini, sceso con Renzi al rango di ex vicesegretario, si attende sorprese. La poco nascosta voglia del governatore della Puglia, e magistrato in aspettativa, di sfidare Renzi al congresso potrebbe certificare la spaccatura del fronte del congresso-sì-ma-non-ora già in parte certificata dal palco dove Emiliano parla disattendendo gli accordi con Rossi e Speranza.

In attesa di comprendere cosa faranno i tre del teatro-Vittoria e soprattutto cosa farà Emiliano, i nomi di possibili candidati alla segreteria del Pd aumentano. Ultimo quello di Cesare Damiano. L'ex ministro ieri all'assemblea ha ricordato la sua esperienza nel Pci, non ha risparmiato critiche a Renzi ma ha anche spiegato che intende fare la sua battaglia dentro il Pd. Un annuncio di candidatura da parte di un esponente politico che ha la stessa storia politica di Bersani. Tenere unito il Pd e le sue due anime originarie, i Ds e la Margherita, significa per Renzi concedere agli scissionisti lo stesso spazio che a sinistra Achille Occhetto lasciò nel 1991 a coloro che non accettarono la nascita del Pds e diedero vita a Rifondazione Comunista.

TOUR
Assemblea programmatica e poi il congresso del Pd da celebrare entro aprile, il 9 o il 23, in modo - ragionava ieri sera Renzi - da avere il tempo per la campagna elettorale per le amministrative. In mezzo un tour per i territori e le federazioni del partito che, in vista delle amministrative, avranno bisogno del simbolo del Pd per presentarsi alle elezioni di giugno. E così l'assemblea della scissione diventa per Renzi l'occasione per mostrare alla sinistra chi ha veramente in mano non tanto il partito, quanto la sua eredità politica. Con Renzi non ci sono solo gli ex Pci Fassino, Veltroni, De Vincenti e l'applauditissima Bellanova, ma anche un anziano ma lucidissimo leone ex Dc come Franco Marini che senza mezzi termini dice a Guglielmo Epifani - che in assemblea funge da portavoce dei tre dissidenti - «di non aver capito bene cosa vuole» e che la disputa sul calendario è incomprensibile così come «pensare che si possa tenere aperto un congresso durante le elezioni amministrative». Emiliano, il «disperato», come lui stesso si è definito, alla fine potrebbe fare piatto decidendo all'ultimo di rimanere nel Pd e, senza Speranza e Rossi, raccogliere intorno a sè coloro che contestano il Renzi-segretario con il quale - al momento opportuno e forse anche in vista del voto di settembre - trattare i posti in lista.