Sentenza sul Cavaliere/Se pure il voto degli italiani resta appeso ai verdetti Ue

di Carlo Nordio
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Mercoledì 22 Novembre 2017, 23:42 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 00:05
Tra le tante disgrazie che affliggono la natura umana Amleto cita opportunamente “The law’s delay”, cioè i ritardi della legge e dei processi. L’infelicissimo principe aveva capito, duemila anni dopo Lisia e parecchi secoli prima di noi, che una sentenza tardiva è sempre ingiusta, e comunque crea più problemi di quanti ne risolva.
La Corte di Strasburgo, nel giudicare della decadenza e incandidabilità di Silvio Berlusconi, ha confermato le angosce di Amleto: ha discusso la causa e si è presa vari mesi per decidere. Speriamo almeno che quando l’oracolo si pronuncerà lo faccia in modo chiaro e distinto, senza quelle tortuose ambiguità che spesso hanno connotato i vaticini del giuridichese.
Ma comunque vada, sarà polemica. Se il Cavaliere avrà avuto ragione, gli uni diranno che è stato illegittimamente estromesso dalle candidature delle prossime elezioni politiche; se invece avrà avuto torto, gli altri lamenteranno che abbia potuto parteciparvi, sia pure ufficiosamente, con l’aureola del martirio. Considerando che nel 1946 il Tribunale di Norimberga, dopo quasi un anno di udienze con 22 imputati, ha impiegato meno di un mese per emettere il verdetto, non sarebbe stato irriverente pretendere da Strasburgo una celerità un po’ maggiore. Si dirà che è la sua consuetudine, e che la legge è uguale per tutti. 


La legge sì, ma le conseguenze no. Uguaglianza significa assenza di privilegi o di pregiudizi. Ma se dalla sentenza dipendela formazione di un prossimo governo si può ricorrere a un diverso criterio di priorità: esattamente come fanno i tribunali di tutto il mondo, persino quelli italiani, in base all’importanza della questione.
Detto questo, dobbiamo prender atto che, ancora una volta, il destino della nostra politica riposa nel grembo della Giustizia, e, quel che è più singolare, nemmeno di quella italiana. Quei cittadini che nutrono l’impressione di esser stati spossessati di diritti e di risorse da un ordinamento sovranazionale burocratico e invasivo, si lamenteranno, quale che sia l’esito della sentenza, di una sorta di interferenza europea negli affari di casa nostra. 
Gli antieuropeisti antiberlusconiani, se il cavaliere vince la causa, e quelli filoberlusconiani, se il cavaliere la perde, protesteranno comunque per questa eterodirezione della nostra politica. Possiamo dunque star certi che i risultati delle prossime elezioni saranno oggetto di contestazione dopo la pubblicazione tardiva di questa decisione.
Tutto questo non sarebbe accaduto se la legge sulla decadenza e incandidabilità, che in sé va benissimo, fosse stata applicata con maggior saggezza, e comunque dopo matura riflessione, senza l’antagonismo acritico che ha caratterizzato ogni dibattito sulla sorte di Silvio Berlusconi. Diciamo la verità: le stesse argomentazioni portate dai legali del nostro governo alla Corte di Strasburgo non sono proprio convincenti: è difficile sostenere che la limitazione dei diritti elettorali di un cittadino non costituisca norma afflittiva, e come tale soggetta al principio di irretroattività. In parole più chiare, è difficile sostenere che un cittadino debba subire le conseguenze negative di un reato commesso dieci anni prima della legge che le prevede. E il parere in tal senso espresso dall’ex presidente della Corte, Jean Paul Costa, avalla in modo autorevole queste perplessità. 
Concludo. L’unica possibilità di evitare che, alla pubblicazione della sentenza, si scatenino nuove polemiche, è che le elezioni diano un responso nettissimo su chi ha vinto e chi ha perso. Ma poiché, con questa legge elettorale, anche questo è assai improbabile, assisteremo ancora all’ esasperazione della battaglia politica per via giudiziaria, ispirata stavolta dalla Corte di Strasburgo, una nuova Autorità Sovrana, prestigiosa, ma lenta e corta di fiato. A conferma dell’altro detto di Shakeaspere, che quando il Re sospira, il popolo geme.
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