Un salto nel buio/ La deriva nordista in salsa catalana

di Gianfranco Viesti
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Martedì 24 Ottobre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:05
E ora? Che succede dopo i referendum in Lombardia e in Veneto? Sul piano giuridico, nulla. Le due Regioni avrebbero già potuto attivare il percorso per ottenere maggiori competenze con l’apertura di una trattativa con il governo centrale. Cosa che faranno nei prossimi giorni. Par di capire, con lo stesso taglio generico con cui è stato impostato il referendum: chiederanno cioè maggiore autonomia su tutte le materie su cui è possibile.

Una posizione senza senso, sul piano della buona amministrazione; ma che mira a rinforzare il più possibile il ruolo, di potere e di intermediazione di risorse pubbliche, delle classi dirigenti delle due regioni. Per i cittadini lombardi e veneti, infatti, non è assolutamente detto che per le “grandi reti di trasporto e di comunicazione” o per “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia” o per la “protezione civile” sia meglio essere sottoposti a norme regionali piuttosto che a norme e a politiche nazionali.

In altri ambiti può avere più senso un maggiore decentramento: ma è consigliabile una notevole cautela, viste le performance non esaltanti delle amministrazioni regionali a tutte le latitudini; non serve richiamare episodi di cronaca ben noti. Il Governo, dal suo canto, non potrà limitarsi a discutere con le Regioni interessate.

Ma dovrà valutare, come è suo ruolo e sua responsabilità, gli effetti che le diverse modulazioni territoriali di alcuni importanti servizi pubblici possono avere per l’intera collettività nazionale e per le necessità di coordinamento. Che effetto può provocare sul sistema scolastico nazionale, una maggiore potestà di alcune regioni? Sono grandi questioni, da maneggiare con estrema attenzione. 

Se si dovessero trasferire competenze dallo Stato alle Regioni, occorrerà anche trasferire le relative risorse. Ciò che oggi spendono le amministrazioni centrali in un dato perimetro territoriale sarà speso da quelle regionali. Ciò, come detto, sposta potere. Ma non modifica in nulla il saldo di dare-avere fra una singola economia regionale e la fiscalità nazionale. E’ questo uno dei grandi bluff dei promotori del referendum: maggiore autonomia non significa affatto maggiori risorse per la collettività regionale. Per fortuna, dato che essere sarebbero sottratte a tutti gli altri italiani.

Ma qui si viene al punto politico, e al perché della chiamata referendaria. Forti dei risultati di domenica (assai più in Veneto, meno in Lombardia), i politici delle due regioni cercheranno di forzare questa trattativa: richiedendo al Governo nazionale di spostare, insieme alle competenze, risorse maggiori rispetto all’oggi. Non si vede in base a quale principio il Governo nazionale dovrebbe acconsentire: dato che una sua decisione discrezionale in tal senso aumenterebbe il benessere di alcuni dei cittadini italiani a danno di quello degli altri. 
E tenendo comunque conto che sull’eventuale intesa dovranno esprimersi le due Camere a maggioranza assoluta. Eccoci ad un altro fondamentale inganno del referendum: questi temi non sono questioni regionali, ma nazionali; e quindi su di esse non possono esprimersi solo i cittadini di quelle regioni ma devono esprimersi tutti i cittadini italiani (o i loro rappresentanti). Così come la mirabolante richiesta di ieri del Presidente Zaia di ottenere l’attribuzione dello statuto speciale al Veneto si scontra con la circostanza che essa richiederebbe una modifica costituzionale, con i tempi e i quorum richiesti nel Parlamento nazionale, e la possibilità di referendum, sempre nazionale. Difficile immaginare gli italiani votare per un maggiore privilegio per alcuni dei loro connazionali, mediamente più ricchi.

A riguardo è bene ricordare che sulle leggi regionali venete 15 e 16 del 2014, che hanno indotto il referendum, si è espressa la nostra Corte Suprema, che ha dichiarato illegittimi costituzionalmente altri quesiti che si volevano sottoporre al voto. La Corte ha impedito di votare sul quesito: “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?” proprio perché viola i principi di finanza pubblica nazionale e non è questione che possano egoisticamente dirimere i cittadini di una regione. Così come la Corte ha impedito di votare sul quesito “Vuoi che il Veneto diventi una repubblica indipendente e sovrana?” perché contrario all’articolo 5 della Costituzione sull’indivisibilità del paese. 

È bene ricordarlo anche ai tantissimi che, prendendo colpevolmente sottogamba il voto di domenica, hanno sottolineato le diversità fra Veneto e Catalogna. Questione su cui ci sarebbe assai da discutere: sulla furbizia di voler rimanere cittadini di un paese (e quindi dell’Unione Europea), con tutti i vantaggi che ne conseguono, senza voler adempiere ai propri doveri nei confronti della collettività nazionale.

Strada in salita, dunque? Nient’affatto, purtroppo. Questi ragionamenti si scontrano con la circostanza che siamo nell’Italia del 2017. Sotto elezioni. Con una rincorsa al voto e la grande pressione politica esercitata dalla Lega. E senza più alcun partito o movimento nazionale schierato a difesa dei principi costituzionali che sono in gioco.

Non il Movimento 5 Stelle, che è stato fra i promotori dei referendum; non Forza Italia, che suggerisce di tenere votazioni simili in tutte le regioni, fingendo di ignorare la sostanza della contrapposizione. Non il Partito democratico, in altre faccende affaccendato, colpevolmente assente su questa vicenda: che chiama in causa diritti e doveri di cittadinanza, la promozione dei grandi servizi pubblici nazionali; a cui quello schieramento politico era, almeno in passato, tradizionalmente molto sensibile.

Nell’Europa contemporanea gli stati nazionali svolgono fondamentali funzioni economiche. Fra di esse il fondamentale ruolo redistributivo e di garanzia dei diritti di cittadinanza che l’Unione, per la sua natura e per la risibile dimensione del suo bilancio, non svolge. Questo ruolo è in ballo nelle prossime settimane. E’ bene esserne consci, seguire con attenzione vicende, scelte, responsabilità; a tutela di tutti i cittadini italiani e soprattutto delle fasce più deboli della nostra società.
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