Nepotismo all'università: in calo ma resiste al Sud

Nepotismo all'università: in calo ma resiste al Sud
di Alessandra Camilletti
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Martedì 4 Luglio 2017, 08:26 - Ultimo aggiornamento: 17:15

ROMA Il fenomeno, se volete, è pure un po' italiano. Quella tendenza a restare vicino casa per studiare o trovare un posto di lavoro. Non fa eccezione il mondo accademico. Anzi, è proprio da qui che si parte per delineare un'insolita mappa. È la mappa del nepotismo, in una ricerca condotta sulle università del mondo. La notizia è che se è vero che l'Italia è in testa, avanti rispetto a Francia e a Stati Uniti, è anche vero che il fenomeno è in calo. Una mappa che richiama, nel bene e nel male, pure la fuga di cervelli. Lo studio è stato condotto su 133mila ricercatori ed è stato messo a punto incrociando nomi, cognomi e informazioni geografiche. Si è contato il numero di ricercatori con lo stesso cognome in ogni dipartimento e si è messo a confronto con quello che ci si aspetterebbe se le assunzioni fossero casuali, tenendo conto di differenti ipotesi.

L'INDAGINE
Curiosità vuole che a condurre l'indagine siano stati due italiani ed entrambi da oltreoceano. Jacopo Grilli e Stefano Allesina lavorano all'università americana di Chicago. E la loro ricerca è stata pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti. «Il bene e il male dell'Italia è la famiglia» sottolinea Allesina. Quella famiglia che «ti protegge dal collasso ma che impedisce anche la crescita: un peso sulle spalle dei giovani, specialmente nel Sud, dove molti studenti di talento non hanno altra scelta se non emigrare».
Tra i dati in evidenza, il fatto che i ricercatori italiani, a differenza di quanto accade proprio in Francia e negli Stati Uniti, tendono a lavorare dove sono nati e cresciuti. Gli elementi italiani dell'indagine sono stati raccolti sul sito del Consorzio Cineca e riguardano gli anni 2000, 2005, 2010 e 2015. A guardare bene la fotografia, in verità, risulta pure che in Italia il fenomeno del nepotismo si è ridotto, dal 2000 al 2015, lasso di tempo in cui il nostro Paese ha introdotto la riforma universitaria, nel 2010, anche per evitare l'ingaggio di parenti da parte dei professori. Questo elemento può aver influito ma, secondo i due professori, ha inciso anche l'elevato numero di pensionamenti, cui non hanno fatto seguito assunzioni.

Ma pur essendosi ridotto, il fenomeno potenziale resiste. «Prendiamo ciascun dipartimento e contiamo il numero di cognomi ripetuti. In Francia, il numero di cognomi ripetuti è spiegato dalla distribuzione geografica, mentre negli Stati Uniti da una immigrazione specifica in alcuni settori scientifici. In Italia, anche tenuto conto di questi fattori, alcune discipline e regioni presentano anomalie» spiega Allesina. E «grazie a ulteriori test - sottolinea - dimostriamo come le anomalie siano compatibili con assunzioni nepotistiche». Che resisterebbero in particolare al Sud e riguarderebbero, secondo lo studio, Campania, Puglia e Sicilia per il 2015. Ad andare più a ritroso, però, ci si allarga anche all'Emilia Romagna, al Lazio, al Piemonte, alla Lombardia, alla Toscana e alla Sardegna.

DOPPIO TEST
Lo stesso per le discipline. Spiegano nella ricerca Grilli e Allesina, ne 2015 le anomalie sono più evidenti per Chimica e Medicina e, negli anni precedenti, anche per Legge, Ingegneria, Biologia, Economia e Agraria. «Il fatto che il fenomeno resista a Chimica e Medicina - spiega Grilli - non implica ovviamente che tutti i dipartimenti di Chimica e Medicina abbiano casi di nepotismo e nemmeno che altre facoltà siano esenti». Un altro elemento che emerge, ad incastro, è che «in Italia la concorrenza tra gli atenei per assumere i ricercatori migliori è scarsa».

 
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