Appendino: azzerare le nomine. Così Torino abbatte le sue élite

Appendino: azzerare le nomine. Così Torino abbatte le sue élite
di Claudia Guasco
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Martedì 21 Giugno 2016, 09:13 - Ultimo aggiornamento: 09:20
dal nostro inviato

TORINO Il primo annuncio pubblico di Chiara Appendino è un avviso di sfratto. Destinatario, il nuovo presidente della Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, in carica da maggio. Afferma la grillina sindaco di Torino: «Credo che chi abbia fatto scelte che non condivido, come aumentarsi lo stipendio, dovrebbe fare un passo indietro». Si cambia marcia, è il messaggio, tra lei e la classe dirigente cittadina sarà rottura così come da programma elettorale. Quell'ultima tornata di poltrone assegnate poche settimane prima delle elezioni dalla vecchia amministrazione proprio non le è andata giù, come l'insediamento alla presidenza della società per l'energia Iren di Paolo Peveraro. «Non ho condiviso quelle nomine, introdurremo nel regolamento un semestre bianco, cosicché il sindaco uscente non possa farne altre», promette tra gli applausi.

IL COLPO
La rivoluzione Appendino è cominciata, i primi a strappare un impegno sono i militanti no Tav. «Il sindaco non può bloccare l'alta velocità. Ma mi siederò al tavolo, valuterò le ragioni del no e deciderò. Anche di alzarmi dal tavolo», dice la Appendino con piglio decisionista. Il giorno dopo il ballottaggio, un vecchio elettore del Pd osserva sconsolato i numeri della disfatta: «È come la caduta del muro, ma senza niente da liberare». Per i festanti grillini che occupano il municipio, riversandosi come un battaglione tra saloni e passatoie rosse, è invece la fine di un'oppressione. Dalla politica, dall'economia, dalla cultura e dalle banche che qui, dicono, «da due decenni ha sempre la stessa faccia». Che ha pensato più alla cultura che ai poveri e ai cassintegrati. «Il processo di trasformazione di Torino ha allargato la forbice tra esclusi e inclusi. Le elezioni si sono trasformate in una sorta di referendum a favore dell'establishment o contro, tra continuità e interruzione della continuità», è l'analisi di Giuseppe Berta, storico dell'industria italiana all'Università Bocconi. «Oggi la gente protesta per un sentimento reale di esclusione». Piero Fassino, il sindaco uscente che al primo turno credeva davvero in una rielezione, «non ha dimostrato sensibilità su questo problema. Non c'è stato alcun ricambio dell'élite urbana e lui è rimasto all'interno di questa élite», osserva Berta. E il risultato è la batosta nelle periferie, dove i 5 Stelle hanno fatto il pieno di voti con il 64,76% a Borgo Vittoria, Lucento e Vallette e il 62,83% alla Barriera di Milano e Falchera. A favore del Pd (59,46%) solo la circoscrizione 1, ovvero il centro, a conferma del ribaltamento di scenario: nel capoluogo piemontese è la ricca borghesia a votare Pd, nei quartieri popolari che un tempo furono lo scenario dei grandi conflitti sociali la sinistra ha perso le sue radici. Qui vive don Adelino Montanelli, parroco alla Falchera: «La povera gente si è sentita dimenticata. Quando è arrivata la crisi siamo stati travolti», racconta. E le periferie, poco alla volta, sono state abbandonate al loro destino mentre il centro, tirato a lucido, è diventato il salotto chic per la gioia dei turisti. Così, mentre il numero di visitatori superava quota 4 milioni nel 2015, i poveri censiti dalla Caritas sono raddoppiati rispetto al 2007: «Oggi le persone che in città e nella prima cintura vivono in una condizione di povertà assoluta o relativa sono circa il 15%».Per questo il risultato elettorale non sorprende più di tanto Marco Boglione, imprenditore torinese che con la sua BasicNet possiede marchi come Robe di Kappa. «C'è la crisi, non ci sono soldi. Capisco il gioco delle priorità, le risorse economiche di un sindaco sono limitate. Ma quello che ha fatto arrabbiare molto la classe un tempo media e ora bassa è stato l'avvicinamento del Pd all'establishment. Si è imborghesito e l'elettorato di base ha voltato faccia». Ce la farà Chiara Appendino? «Non lo dico perché sia un fan, parlo da cittadino italiano e torinese: spero di sì, rappresenta il nuovo e ha voglia di fare».

VOLONTÀ DI CAMBIAMENTO
Molti però in città questo «nuovo» lo guardano con diffidenza, dopo ventitré anni di amministrazione di sinistra da Valentino Castellani a Sergio Chiamparino fino al sindaco in uscita. «Fassino non può non vincere, altrimenti finiscono non solo Torino e il Piemonte ma molte altre cose», è sbottato qualche giorno fa il banchiere Enrico Salza. Ieri mattina John Elkann, presidente di Fca e vicepresidente della Fondazione Agnelli, commentava con circospezione: «Torino è sempre stata caratterizzata da un buon governo, un governo serio, lo abbiamo visto negli ultimi cinque anni con Fassino. Sono sicuro che con il nuovo sindaco avremo la possibilità di poter raccogliere la tradizione». Se proprio deve essere frattura, insomma, che non sia troppo violenta. «Sicuramente l'elettorato ha espresso la volontà di cambiare. Il mio auspicio è che con questo cambiamento si possa preservare la forza della città», si augura Elkann. Il tifone Appendino sta passando come un tornado su quelli che i politologi definiscono «milieu», cioè contesto sociale: «Più di due terzi dei membri della classe dirigente torinese appartiene ad ambienti elitari, cui si accede per cooptazione e di cui si fa parte per affinità sociale o culturale». È la certificazione della cerchia di provenienza, della quale secondo i detrattori il Pd faceva parte. «È vero che le radici di sinistra dei partiti si stanno dissolvendo, ma la lotta di classe esiste ancora perché la differenza tra quelli che hanno da dormire e da mangiare e quelli che non ce l'hanno c'è», riflette il filosofo ed ex europarlamentare Gianni Vattimo. «E penso che la scorsa amministrazione si sia dimenticata di una parte della città».