Le leggi del governo votate in tempi certi

Le leggi del governo votate in tempi certi
di Diodato Pirone
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Lunedì 28 Novembre 2016, 17:06 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 10:11
A In Italia i tempi di approvazione delle leggi molto spesso sono lunghissimi. D’altra parte il governo ricorre con frequenza alla fiducia per far approvare una norma in tempi brevi. A questo problema, uno dei nodi essenziali per una democrazia parlamentare, la riforma costituzionale risponde con la modifica dell’articolo 72 della Costituzione che prevede date certe per l’approvazione delle leggi più importanti. In sostanza, se il governo presenta alla Camera una legge e la dichiara legata all’attuazione del suo programma, la Camera deve approvarla o respingerla entro 70 giorni. In alcuni casi il termine può slittare a 85 giorni che comprendono però 20 giorni eventualmente richiesti dal Senato per l’esame della legge stessa. La corsia preferenziale non può scattare per le leggi di bilancio e quelle bicamerali ma, se la riforma sarà approvata, sgonfierà definitivamente il malcostume delle fiducie a ripetizione cui tutti i governi hanno fatto ricorso negli ultimi anni. 

Le ragioni del Sì
I costituzionalisti del Si assicurano che non c’è nessuna “deriva autoritaria” dietro l’idea di una corsia preferenziale per le leggi. A loro dire l’idea risale addirittura al 1982 e porta la firma di un esponente prestigioso del vecchio Partito Repubblicano: Giovanni Spadolini. Secondo il Sì la corsia preferenziale per le leggi del programma del governo risponde ad una idea moderna e funzionale della democrazia parlamentare. Dunque la funzione di controllo e di stimolo del Parlamento ne verrebbe esaltata visto l’andazzo attuale fatto da decreti e voti di fiducia imposti alle Camere dai vari governi. Il Comitato per il Sì fa poi notare che la corsia preferenziale riguarda solo alcune leggi. Ne sono escluse quelle bicamerali a partire dalle leggi di riforma della Costituzione e da quelle elettorali. Secondo il Sì sono proprio i tempi previsti dall’articolo 72 della nuova Costituzione a garantire meglio la funzione del Parlamento: i 70 giorni previsti per il voto sono infatti superiori ai 60 giorni fissati oggi per i decreti e in alcuni casi si può arrivare a 85 giorni. Insomma secondo il Sì quasi tre mesi per esaminare una legge importante costituiscono un lasso di tempo più che ragionevole per discutere la proposta del governo e modificarla laddove la Camera (e in alcuni casi minoritari il nuovo Senato) lo ritenesse opportuno. Per il Sì è fondamentale che l’Italia si doti di forme di “democrazia decidente”, che consentano al Paese di varare leggi adeguate in tempi brevi perché il mondo corre e chi non si adegua resta indietro. 

Le ragioni del No
Le modifiche dell’articolo 72 sono fra le più invise al fronte del No. La ragione è molto semplice: gli esponenti contrari alla riforma ammettono che con il “sistema” attuale delle fiducie a ripetizione il Parlamento è svuotato ma trovano che la “corsia preferenziale con data certa” previsto dal nuovo articolo 72 sia un rimedio peggiore del male. Più di un costituzionalista del No ha sottolineato nelle scorse settimane che il voto entro i 70 giorni su determinate leggi rende il Parlamento subalterno ai desiderata del governo. Secondo gli esponenti del No il nuovo articolo 72 è destinato a squilibrare ulteriormente i rapporti fra governo e parlamento anche se consente di eliminare il meccanismo perverso di decreti e fiducie. Il No è contrario alla cosiddetta “democrazia decidente”, ovvero ad una forma di democrazia parlamentare che attua (o respinge) le decisioni prese dal governo in tempi relativamente brevi. Secondo il No il “voto a data certa” è destinato soprattutto a normalizzare la maggioranza che farebbe più fatica a manifestare il suo dissenso. Tuttavia gli stessi esponenti del No ricordano che maggioranze coese anche con i meccanismi attuali quando vogliono approvano alcune leggi in tempi brevissimi. I favorevoli al No infine fanno suonare il campanello dall’allarme sui poteri eccessivi del governo perché il voto “a data certa” si affianca alla “clausola di supremazia” che consente all’esecutivo di dribblare con una legge conflitti regionali in nome dell’interesse nazionale. 
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